Santuz: Moro è stato ucciso perché voleva siglare l’alleanza con il Pci

di Domenico Pecile
UDINE
Lo ha conosciuto nel 1970. «Era già un leader, con doti eccezionali. La sua uccisione è legata all’intuizione sul compromesso storico». Giorgio Santuz, parlamentare nel 1972, sottosegretario agli Esteri nel 1978, ministro della Funzione pubblica nel 1987 e dei Trasporti l’anno successivo, ricorda l’amico e «il grande uomo, non soltanto politico che è stato Aldo Moro».
Quando lo conobbe?
«Quando ero segretario provinciale della Dc. Lui era già un leader affermato».
Che anno era?
«Se non vado errato il 1970».
Come avvenne l’incontro e che impressione le fece questo leader?
«Me lo aveva presentato poco prima l’onorevole Bressani, moroteo di alto profilo. Ci eravamo incontrati all’università di Roma, dove Moro insegnava. Stava attraversando un momento di difficoltà nella Dc dove era finito un po’ ai margini. Lo invitai a un importante convegno, a Udine, per dimostrargli la stima della Dc friulana».
Facciamo un inevitabile salto nel buio del 9 maggio del 1978. Cosa ricorda di quella giornata?
«Ero a Roma, facevo il parlamentare... Vidi scendere dall’auto l’allora ministro della Difesa, Ruffini. Lo salutai e per tutta risposta si mise a piangere. Riuscì a dire con un filo di voce “hanno ucciso Moro”. Rimasi senza parole».

Di quel lunghissimo periodo della prigionia di Moro, qual è la cosa che le è rimasta più impressa?
«Mah, forse i nostri dubbi sul fatto che non si riuscisse a venire a capo sul covo».
Dove stava la stranezza?
«Non lo dicevamo apertamente, ma era quantomeno strano che in una città con tanti quartieri assemblati non si scoprisse dove fosse tenuto prigioniero un personaggio di quel profilo. Senza contare i controlli, le indagini. Sì, tutto molto strano».
A proposito di accadimenti strani, lei più volte ha citato un incontro tra Moro e Kissinger, a Washington.
«Credo fosse il 1974. Incontrai Moro negli States casualmente. Era al seguito del ministro degli Esteri. Venni a sapere di uno suo incontro finito in scintille tra lui e Kissinger».
Uno scontro politico su cosa?
«Sicuramente sulla politica estera dell’Italia. Moro spiegò anche l’idea del compromesso storico. E credo che la cosa non piacesse agli americani».
Perchè mi racconta questo, con una sorta di verve cossighiana?
«Perché mi è sempre rimasta la convinzione che il mondo occidentale non gradisse la linea politica di Moro. Non faccio deduzioni e mi attengo ad alcune cose che sono accadute come il modo in cui è stato catturato e ucciso. Non possiamo dimenticare ad esempio che tutti i capi della sicurezza erano piduisti e non avevano grande simpatia per la politica di Moro. Infine, dopo due mesi di prigionia lo si è lasciato ammazzare».
Scusi, Santuz, ma la Dc non era contraria alla trattativa con le Br e aveva sposato, invece, la linea della fermezza assieme al Pci?
«Personalmente ero per la trattativa. Speravo che il Vaticano facesse qualcosa di più. Mi ero rincuorato quando Fanfani aveva annunciato di avviare la trattativa coi brigatisti. Ma Moro fu ammazzato proprio il giorno dopo, se non sbaglio».
Mi sta dicendo anche che le Br non avrebbero agito da sole?
«Diciamo che andavano avanti per conto loro, senza grandi ostacoli».
Cosa le fa ancora impressione di quella vicenda?
«Che forse abbiamo sottovalutato cosa abbiano significato quei 55 giorni di prigionia. Solo, tagliato fuori dal mondo, abbandonato ai suoi pensieri. Un’agonia. Una tortura. Penso anche alle sue lettere, alcune delle quali potrebbero essere state intercettate. E nemmeno questo si sa».
Moro uomo. Cosa ricorda di lui?
«Un uomo squisito, educato, colto. Intelligente e sensibile come pochi politici. Sì, aveva doti eccezionali».
Chi erano i suoi nemici, oltre agli americani?
«Lo scacchiere internazionale. Ma scusi, a suo avviso erano contenti i russi che i comunisti entrassero al governo di un Paese della Nato? Si, forse le sue idee avevano tanti nemici».
Un uomo politico solo, dunque, poco compreso?
«Moro era intelligentissimo. Aveva veramente il senso del futuro. Era un uomo giovane che capiva l’evoluzione della società nazionale internazionale».
Perché inseguiva il compromesso storico?
«Riteneva che nella Dc non si potesse più governare avendo all’opposizione un partito grande e strutturato come il Pci».
Non soltanto questo, immagino.
«Moro riteneva che includendoli, i comunisti un po’ alla volta si sarebbero per così dire socialdemocratizzati, togliendo loro l’aggressività e la chiusura».
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