Salvi per miracolo nell’albergo Canin travolto dalla neve

A Sella Nevea caso analogo a quello abruzzese. Turisti e personale restarono isolati per 24 ore

UDINE. Slavina si abbatte su un albergo: c’è un precedente anche in Friuli, per fortuna non drammatico come quello dell’Abruzzo. Bisogna riavvolgere il filo dei ricordi e della memoria fino al 1975, quando in seguito alle abbondanti nevicate di quell’inverno, a Sella Nevea, la sera del 18 marzo si staccò un’enorme massa di neve che si abbattè sull’hotel Canin pieno di turisti e di addetti, decine di persone in totale.

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Si salvarono tutti perchè, erano da poco passate le 20.30, gli ospiti avevano già lasciato la sala dopo aver consumato la cena. Solo un cameriere che fu spinto dalla violenza della slavina contro una porta, se la cavò con alcune ferite, mentre altri tre villeggianti (tra cui un bimbo) che si trovavano al bar furono quasi investiti dalla valanga, ma riuscirono a mettersi al riparo in tempo.

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La zona, letteralmente sommersa da 7 metri di neve, venne raggiunta dai soccorritori solo dopo molte ore dall’incidente. Durante la stagione invernale 1974­/1975 vi fu, nella zona montuosa del Friuli così come nel resto della cerchia alpina, una combinazione di fattori (nevicate frequenti e intense, temperature non favorevoli all’assestamento del manto nevoso) la quale fece in modo che nel marzo del 1975 venissero misurati, nel comprensorio sciistico del Canin oltre 7 metri di neve al suolo a una quota di 1.825 metri.

Nella serata del 18 marzo e nelle prime ore del mattino del 19, numerose valanghe precipitarono a valle: tra queste la valanga “Poviz” causò la distruzione parziale di uno skilift e danni al bar-ristorante dell’hotel Canin, mentre la “Livinâl lunc” e le vicine distrussero uno skilift, danneggiarono, sia pure non gravemente, la stazione di partenza della funivia, e resero inagibili sia il parcheggio di quest’ultima che le piste da sci per la presenza di alberi e detriti. Fortunatamente lo spessore dello strato staccatosi fu di “soli” 2 metri.

Il racconto di Gianpaolo Carbonetto, il cronista del “Messaggero Veneto” che raggiunse quei luoghi la mattina del 20 marzo, riporta ai giorni nostri il dramma che villeggianti e operatori vissero in quelle ore di ansia. Il giornalista intervistò il titolare dell’albergo, Manlio Battello, che raccontò come la slavina avesse distrutto tutta l’ala bar e sala da pranzo dell’hotel.

«Per una strana combinazione - disse l’albergatore - i turisti avevano già lasciato la sala da pranzo ed erano saliti nelle camere. Poco dopo ho avvertito un tremendo boato che mi ha fatto immediatamente capire quello che era accaduto». I turisti alloggiati al Canin rimasero isolati per oltre 24 ore, finchè fu riaperta la strada che sale da Chiusaforte. Ma all’epoca, correva l’anno 1975, i friulani non persero tempo e si attivarono subito per prevenzione e ricostruzione.

La Giunta regionale decise di istituire una commissione di esperti e funzionari regionali affinché valutassero la situazione e dessero suggerimenti per la messa in sicurezza di questa area e di altre zone abitate ugualmente interessate da valanghe (Sauris, Cleulis e Timau). Nell’agosto del 1976 la Commissione valanghe, dopo accurati sopralluoghi, stabilì che «la valanga del Livinâl lunc non può essere bloccata in zona di distacco con opere di trattenuta del manto nevoso data l’ampiezza della stessa, la pendenza e soprattutto l’altezza raggiunta dallo strato nevoso.

Sono da escludersi anche opere di deviazione poiché tutte le possibili linee di scorrimento convergono su aree abitate di Sella Nevea. È auspicabile l’organizzazione di un servizio di sorveglianza e preallarme per lo sgombero tempestivo della zona in caso di pericolo».

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