Saluto romano, rito abbreviato per i tifosi

Stendendo il braccio alla maniera fascista, durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli, allo stadio “Friuli”, i nove tifosi finiti a processo con l’accusa di discriminazione razziale, etnica e...

Stendendo il braccio alla maniera fascista, durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli, allo stadio “Friuli”, i nove tifosi finiti a processo con l’accusa di discriminazione razziale, etnica e religiosa, non intendevano «nè assumere atteggiamenti offensivi, nè istigare alla violenza». E’ la tesi che l’avvocato Giovanni Adami, difensore di tutti gli imputati, sosterrà davanti al giudice monocratico di Udine, Carla Missera, il prossimo 18 luglio. Quando il procedimento, per il quale ieri è stato ammesso il rito abbreviato condizionato all’audizione di un teste, riprenderà proprio dalla testimonianza di uno degli imputati. Per l’esattezza, del 35enne triestino - l’unico che, per un vizio di notifica, resta “sganciato” dal resto del gruppo e proseguirà l’iter già avviato con il giudice Francesca Feruglio -, cui è stato affidato il compito di ricostruire la vicenda e spiegare le ragioni di quel gesto.

L’episodio risale al 10 settembre 2008, quando Udine ospitò la partita tra la nazionale italiana e quella della Georgia, incontro valido per le qualificazioni ai mondiali. Erano state le telecamere, sbobinate ed esaminate nei giorni successivi dalla polizia, a svelare il volto degli autori del saluto romano.

A finire nei guai furono cinque friulani (A.D.S., 34 anni, D.G., 26, A.L., 27, A.M., 30, C.Z., 28), due padovani (S.T., 33 anni, A.S., 34), il triestino (G.B., 35 anni) e un goriziano (A.F., 44 anni), questi ultimi due estranei al mondo degli ultrà. Per tutti, l’ipotesi di reato è la violazione del cosiddetto decreto Mancino (Legge 122/93), recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.

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