Rullani: reti di impresa e business diversificati per superare la crisi

UDINE. L’affermarsi delle reti di impresa dipenderà dal superamento di una “resistenza culturale” diffusa tra gli imprenditori delle aziende di piccole e medie dimensioni. Se un modello è utilizzato da anni per fare impresa è molto difficile lasciarselo alle spalle di punto in bianco.
Ma è quello che richiede il mercato del futuro, come sostiene Enzo Rullani, docente di Economia della conoscenza e di Strategie di impresa alla Venice International University. Oggi sarà a Udine, alle 14 in Camera di commercio, nell’ambito di Future Forum, per parlare dei nuovi orizzonti che esistono per le aggregazioni di impresa.
Punto di partenza della discussione sarà il ripensamento delle imprese italiane alla luce delle nuove tendenze internazionali e della necessità di confrontarsi con un mondo che, se da un lato annulla lo spazio, dall’altro fa della prossimità una delle chiavi dell’innovazione.
Professor Rullani, perché le reti di imprese sono così importanti?
«Innanzitutto perché consentono alle aziende di cambiare i propri modelli di business. In pratica permettono alle imprese, unendo le forze, di realizzare ciò che hanno sempre visto come un ostacolo difficile da superare. È necessario superare resistenze soprattutto di tipo psicologico, perché gli imprenditori non si fidano troppo dei loro colleghi. Si deve vincere una vera e propria “resistenza culturale” da parte di quegli imprenditori che in passato sono riusciti ad avere successo da soli. Ora però le condizioni sono mutate e non è più possibile farcela solo con le proprie forze».
Questa “resistenza culturale” esiste anche all’estero?
«All’estero è diverso perché il tessuto produttivo è costituito in prevalenza da grandi aziende, con le pmi che rappresentano una percentuale residuale, o perché si tratta di realtà appena nate o operanti in settori marginali. Da noi invece le piccole imprese sono l’asse portante del sistema produttivo. Esiste quindi un approccio diverso nel modo di considerare le reti e le aggregazioni».
Esiste un numero massimo di aziende per creare una rete?
«Direi di no. Il problema non è il numero di imprese, ma l’approccio che hanno. I consorzi legavano aziende che restavano comunque concorrenti, essendo specializzate tutte in un settore produttivo. Per le reti il discorso è completamente diverso, visto che nascono per creare complementarietà e dipendenza tra le diverse aziende. Ogni realtà produttiva è specializzata nella produzione di un componente che aggiungendosi a quello di un’altra impresa della rete crea il prodotto finito. Perché questo processo funzioni serve fiducia e integrazione».
Il distretto è un concetto vicino alla rete di imprese?
«Non del tutto, dipende dalla reale conoscenza che il distretto ha dei meccanismi di aggregazione. Se una rete nasce, ad esempio, per aumentare l’export verso la Germania, dovrà comprendere un’azienda che opera già su quel mercato, magari tedesca, che quindi non fa parte fisicamente del distretto. Altrimenti si rischia di chiedere aiuto a una diretta concorrente».
Che ruolo ha la politica?
«La politica deve scegliere le sue priorità. Se, come dovrebbe essere, si decide di investire su produzioni complesse, la politica deve dimostrarsi selettiva e premiare quelli che, per realizzare “cose difficili”, si mettono insieme e puntano sull’innovazione. Non dimentichiamo che dobbiamo competere con Paesi come la Cina».
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