Rischio fallimento per un’impresa su dieci, Da Pozzo (Cciaa Pordenone-Udine): «La politica intervenga subito»

Uno studio di Cerved stima l’impatto della crisi generata dall’emergenza coronavirus sull’economia regionale

UDINE. È forse l’aspetto meno attentamente valutato degli effetti del coronavirus, effetti che si riverberano non solo, e più o meno pesantemente, sulla salute, ma anche sull’economia.

Uno studio della Cerved Rating Agency ha provato a misurare questi effetti e ne esce uno scenario che li declina da preoccupanti ad allarmanti a seconda della durata di questa crisi. Se l’emergenza coronavirus non si fermasse entro l’anno, un’azienda italiana su 10, e parimenti una friulgiuliana su 10, sarebbe a rischio default.

Nessun settore ne uscirebbe indenne, ma le conseguenze più pesanti si concentrerebbero su manifatturiero tessile, trasporti e turismo. Lo studio “Impact of the Coronavirus on the Italian non-financial corporates” di Cerved rileva come alcune conseguenze del contagio sono già evidenti: rallentamenti nella produzione, chiusure temporanee forzate, calo dei margini.

E tutto questo in un’economia, quella regionale e nazionale, che ha esordito nel 2020 con il freno a mano tirato e lo spettro recessione.

Cerved ha ipotizzato per i prossimi mesi due scenari: «nel caso più favorevole, si prevede che la crisi sanitaria possa perdurare fino a metà anno, con un’eco non trascurabile sulla solidità finanziaria delle nostre aziende, già investite dalla crisi; nel caso più sfavorevole, invece, si delinea l’ipotesi non poi così remota del dilagarsi della pandemia, con effetti globali duraturi e deleteri fino alla fine dell’anno». Questi scenari applicati ad un campione di imprese, danno i risultati che riportiamo nel grafico.

Abbiamo chiesto al presidente della Cciaa Pordenone-Udine, Giovanni Da Pozzo, se ritenga questo scenario sovrapponibile alla realtà del Fvg. «Credo di sì - risponde -. L’analisi, al di là dei numeri, evidenzia come se non si interverrà in modo significativo i rischi siano notevoli. Ma a me pare che la politica non abbia invece percepito la gravità della situazione, non tanto dal punto di vista sanitario quanto da quello economico».

Parliamo del progressivo rallentamento?

«Certo. Sto rientrando da Milano viaggiando su un treno semivuoto, dopo aver fatto un tragitto in metropolitana, anch’essa semivuota, e di città deserte o al rallentatore ne sappiamo qualcosa anche noi in Fvg.

Poi ci sono le aziende che sostengono gli stessi costi, che devono rispettare gli impegni con i fornitori, che devono pagare i dipendenti ma gli incassi si sono dimezzati. In assenza di ammortizzatori sociali, come ad esempio la cassa in deroga, i costi poi ricadono sulle aziende».

Per cui?

«O tutti rapidamente diventano consapevoli della situazione e agiscono di conseguenza, o lo scenario del default per tante imprese del Fvg rischia di diventare una realtà».

Ci sono valutazioni difformi tra chi sostiene che sarebbe meglio fermare tutto per un paio di mesi e risolvere l’emergenza, e chi invece sostiene che l’economia deve ripartire. Secondo lei?

«Io guarderei a come si sta gestendo l’emergenza in altri Paesi anche dal punto di vista non sanitario, e terrei conto del fatto che se le aziende chiudono e si azzerano posti di lavoro, non verranno ricreati».

Le richieste?

«Due fondamentali: immettere una quantità di credito che faccia sì che le imprese riescano a restare sul mercato pur avendo ridotto i ricavi, e la cassa in deroga per tutelare i lavoratori. Poi parleremo anche di internazionalizzazione, di trasporti, di comunicazione, ecc.».—
 

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