Red Hot Chili Peppers: a Udinefesta rock per oltre 40mila

Il popolo del rock ha preso d’assalto giovedì sera lo stadio Friuli di Udine per l'unica data italiana dei Red Hot Chili Peppers. Una festa per oltre 40 mila giunti da ogni parte del Bel Paese, ma anche da Grecia, Croazia, Austria, Slovenia e Ungheria
ANTEPRIMA UD concerto Red Hot Chilli Pepper
ANTEPRIMA UD concerto Red Hot Chilli Pepper
UDINE.
Sono arrivati su due furgoni bianchi dai vetri oscurati alle 21.50, scortati dalla polizia municipale. Tre minuti dopo sono saliti sul palco. John Frusciante alla chitarra, Michael Flea Blazary al basso e Chad Smith alla batteria. Incuranti delle vibrazioni telluriche che lo stadio Friuli trasmetteva al palco e all’atmosfera circostante. Dopo tutto, loro, sono i Red Hot Chili Peppers. Il gruppo che in questo momento, sui mercati, nelle televisioni, alla radio, nell’immaginario della gente rappresenano il rock. Una musica che produce condivisione, partecipazione, amicizia, complicità. Ma soprattutto più simboli delle note che produce. Sarà per questo che vedere Anthony Kiedis salire sul palco incappucciato come uno dei prigionieri di Abu Grhaib ha fatto un certo effetto. Magari non voluto dallo stesso cantante: ma l’estetica e la posa erano quelle di uno dei torturati delle carceri statunitensi in Iraq. Dopo tutto, il rock è questo: sesso, droga e politica, anche quando non si parla direttamente di questo. Ma il rock è anche musica: con quella gli attessissimi peperoncini californiani hanno cominciato il concerto. Ovvero con una classicissima e corroborante Can’t stop. Dopo aver provato gli strumenti sul palco davanti ai quarantamila del Friuli. Dopo aver trovato, Frusciante come al solito, qualcosa che non andava nella pedaliera della chitarra. E dopo aver trovato l’energia per cominciare una nuova, inedita avventura, questa volta proposta a Udine, nell’ambito di Udinestate.

Dani California è stata fra i pezzi presentati all’inizio del concerto sul palco un po’ scarno davanti alla curva sud dello stadio, abbellito solo da tre megaschermi sui quali, a distanza, si faticava a distinguere nitidamente i volti dei musicisti. Che hanno fatto la loro parte improvvisando come al solito, cercandosi e guardandosi negli occhi prima di cominciare i loro brani come se fossero dei principianti chiamati ad aprire l’esibizione di chissà quale gruppo. E questa è una delle caratteristiche che rende amabili questi squinternati californiani ritrovatisi quarantenni prima ancora di maturare: il fatto di prendere tutto alla leggera, come se non fosse cosa loro. Per questo il falsetto insopportabile di Frusciante è stato abbondantemente applaudito dal pubblico prima di tornare alla sensatezza della voce di Kiedis con la storica e fondamentale Under the bridge.

E a proposito di voci, resta inteso che il nostro Anthony se la cava sicuramente bene in studio dove gli ammenicoli a proprio favore sono tanti, ma sul palco, magari anche a causa della classica umidità udinese, ogni tanto riesce a controllare meno bene l’ugola. Tanto che neppure un grazioso nebulizzatore è riuscito a giovargli per il dichiarato mal di gola. Ciò detto, l’esibizione dei Red Hot Chili Peppers ha mantenuto quello che aveva promesso fin dall’inizio: una pressione acustica notevole (non si può più dire watt come una volta!), uno spettacolo energico anche se non proprio continuo. Anche grazie al rapporto sempre conflittuale di Frusciante con la sua chitarra, la pedaliera e gli amplificatori. Così, fra un brano e un altro, restavano ampi spazi di sospensione molto utili per rilassare gli organi uditivi dei quarantamila presenti. A meno che un certo signor Flea Blazary non decidesse di far capire ai legittimi possessori di basso elettrico quali sono le caratteristiche minime per potersi fregiare dell’appellativo di bassista. O che il solito Frusciante, per l’ennesima volta, non si arrendesse ai deliri della sua mitica Stratocaster che ieri sera sembrava particolarmente... delirante. Effetto dell’umido anche questo o di cosa? Di certo non di sostanze proibite: nel camerino dei Red Hot Chili non c’è stato spazio per altro che frutta, acqua e poco altro, come uno spazio tranquillo per meditare. Forse soltanto della stanchezza di un tour mondiale troppo lungo: due anni di fila lontani da casa, sempre in viaggio, anche se su di un aereo personale con tutte le comodità del caso magari alla fine esauriscono. Ad aprire il concerto un’esibizione che ha proiettato i quarantamila direttamente all’interno di un’enciclopedia di storia della musica: sul palco i Wu-Tang, uno dei gruppi più significativi della storia dell’hip hop mondiale. Ascoltare per credere.

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