Quel tempio delle armi in piazza da prima della statua di Garibaldi

UDINE. L’aretino Gesualdo Pannilunghi (1847) si trasferisce in Friuli; e a Udine muore nel 1936. La semantica della vulgata toscana lo interpreta come augurio di lunga vita. A Povoletto mette in piedi un’azienda produttrice di polveri ed esplosivi, ma per poco; si sposterà in Plàzze dai grans (oggi XX settembre) tra il 1871 e il 1881.
In seguito, nel 1956, nella sede, che ancora oggi esiste, divenuta armeria moderna e completa a tutti gli effetti: armi e munizioni. Probabilmente la piú antica del Comune e la sola in attività. Gli si dedica una via, adiacente all’odierno Viale dello sport, già Viale del miul.
In 140 anni ininterrotti di attività commerciale anche la statua di Garibaldi gli succede, essendo stata eretta dai friulani nel 1888. Guerre, generazioni di sportivi e di cacciatori hanno conosciuto l’armeria Pannilunghi senza alterarne la funzione e lo stile, finendo per assegnarle un ruolo di riferimento nella vita cittadina, nella piazza della scuola Manzoni, dell’antica farmacia Colutta e di un Garibaldi visionario, lo sguardo orientato al futuro di un’Italia per la quale ancora oggi bisogni provvedere a fare gli italiani. Alla fine di via Grazzano del resto è stato allestito con eleganza il Museo delle arti e mestieri della terra friulana.
Si tratta dunque di un luogo in cui la tradizione e le speranze della città convergono, attraverso questi molteplici simboli, nel solco dell’azione solerte, secondo lo spirito del popolo che essi rappresentano.
L’armeria Pannilunghi è da tutti conosciuta, tanto che l’ottuagenario signore che vi operava è legato al punto che pochi sanno che non è discendente della famiglia, ma è Massimiliano Zanella, di origine ferrarese e di famiglia veneta.
Arrivato in Friuli per amore della caccia, essendo stato il nonno proprietario di una riserva presso Cervignano, ci è rimasto. Insieme con i figli costituisce una prima società e nel 1987 rileverà la proprietà dalla famiglia d’Agostino con tutte le quote.
Prima del mestiere delle armi, non praticato con primitive inclinazioni alla violenza, ma coltivato con la passione e l’atteggiamento estetizzante del collezionista – e di pezzi importanti ne possiede orgogliosamente – si era occupato di tutt’altro, a Milano e altrove, nel mondo dell’impresa, cui rinunciò per privilegiare l’altra vocazione, quella che ancora oggi lo anima.
Racconta di quando, avendo il grande Artú inchiodato in resta nei pressi di una siepe di canne, grazie a un trucco da esperto, cioè richiamandolo con un grido, ebbe a tiro chiaro la quaglia, tanto chiaro che lo fece pensare ai 6.500 kilometri che l’uccello aveva volato dalla Siberia; e puntando, invece di sparare, la lasciò libera nella brughiera dell’alba. Tanto vale il cane nella caccia in quelli che allora erano territori aperti, lo sintetizza il motto: “Schioppo di 4 soldini e cane di 4 zecchini”.
Zanella vanta un passato da sportivo di prim’ordine, soprattutto nel tiro a volo. Nel lontano agosto del 1972 si distingue a Cervia in un campionato che valeva 60 milioni (di allora!), dividendo il Primo - come il gergo cantava - e continuando a concorrere solo per le onorificienze. Nel 1981 a Casalecchio (Bologna) è terzo nella Coppa d’Oro Ulisse Dodo Manfredi, campionato europeo, che vide la partecipazione di oltre cinquecento concorrenti.
Per anni frequenta l’ambiente dei migliori, tra i quali Liano Rossini ed Ennio Matterelli, olimpionici del piattello . Non smette mai di aggiornarsi sulle tecnologie e le strategie, raffinate dall’esperienza, pur mantenendosi fedele all’impronta stilistica del cacciatore naturale.
Lo è sempre stato, fin dagli otto anni non ancora compiuti, quando abbatté al volo una quaglia con uno schioppo monocolpo calibro 24. È in questa veste che i cacciatori veri lo riconoscono, quelli che, in sintonia con Nino Cantalamessa, pur tirando quasi sempre da soli, sono convinti come lui, che, al di là delle abilità «solo l’intervento del cane compie il prodigio di salvare la caccia dai fatui miraggi del virtuosismo e delle sabbie mobili della furberia».
Per i cani della sua vita, Massimiliano ha nutrito vero amore e rispetto incondizionato. L’armeria è ricca di foto dei suoi piú fedeli e abili, come appunto Artú, per la cui morte (10 settembre 2009) sognò la notte stessa pensieri d’amore, che la mattina presto scrisse e oggi mi lesse, con la commozione delle lacrime incipienti. Lo segue ancora con grinta Milli, rigorosamente ogni sabato, nelle campagne di Povoletto. E cosí ogni sabato Massimiliano è felice.
Mi ha illustrato gli archivi e i segreti del magazzino, dove sono ben ordinati pezzi rari, come il dispositivo azionato a spilla e altre curiosità di una storia già vissuta.
Oggi con un clic si compra qualsiasi fucile, ma farselo illustrare da Massimiliano diventa un oggetto unico, la cui poesia e la fantasia dominano sull’uso.
Tiene a ricordare il pensiero di un valente cacciatore d’altri tempi, il padre: «Sarai grande cacciatore quando racconterai piú spesso e volentieri solo di tutte le volte che hai saputo responsabilmente abbassare il fucile che non di alzarlo con successo».
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