Quel lunario che nel ’76 commosse Gianni Rodari

GEMONA. «Il lunario dei “frus” e delle “frutis” di Gemona si guarda e si legge, ora, con un senso di tenerezza indicibile. Sopravvive a tante rovine, a tanto dolore. Si può immaginare che aiuti i bambini, sotto la tenda-casa o sotto la tenda-scuola, a ritrovare parole di speranza... ».
Queste frasi, straordinarie nella loro sincerità, sono tratte da un articolo apparso lunedì 31 maggio 1976 sul “Paese sera”, quotidiano del pomeriggio a quei tempi diffusissimo a Roma. A scriverle fu un personaggio famoso e amatissimo, Gianni Rodari, poeta, giornalista, insegnante, il maggior interprete in Italia del mondo fantastico caro ai bambini di ogni età e generazione, autore di fiabe e filastrocche.
Nelle settimane successive al sisma del '76, era venuto in Friuli e aveva raggiunto in particolare Gemona, dove lo aveva condotto l’interesse per una storia, nata in quei mesi difficili e che continua ancora a quasi quarant’anni di distanza. È appunto la storia del lunario in friulano, creato e composto dai ragazzini della scuola elementare Dante Alighieri, un piccolo frammento nella vastità delle memorie e anche un capitolo significativo dentro il grande romanzo in ampia parte da scrivere tra vicende sconosciute e meritevoli di essere riscoperte avvicinandoci alla data del 6 maggio.
Il ricordo di Rodari e del viaggio friulano tra gli scolaretti affiora grazie a quel ritaglio di giornale, conservato con appassionata attenzione da Grazia Levi, che vive adesso tra Gemona, dove abitava da bambina con la famiglia, e Roma, dopo essere stata funzionaria Rai e aver diretto la sede regionale di Trieste. Le parole dell’articolo rappresentano il filo di Arianna lungo il quale si giunge al Natale del 1975 quando, il 22 dicembre, nelle case di Gemona venne distribuito “il lunari dai frus e das frutis”, ideato in vista dell’anno nuovo dagli alunni delle due quinte, seguendo un progetto educativo delle maestre Maria Mansi e Lina Zulian. Venne spedito anche a Grazia Levi, a Roma, la quale volle farlo vedere al maestro Gianni Rodari, storico insegnante nella scuola di Monteverde vecchio, nel quartiere del Gianicolo. Lui prese il lunario, lo guardò, lo infilò nel cassetto e salutò Grazia, che pensò tra sé: «Chissà se lo leggerà mai».
La risposta arrivò il maggio successivo dopo che tutto era accaduto e tutto era diverso in Friuli e a Gemona. Sì, certo, Rodari fu di parola: aveva letto il lunario dei ragazzini delle maestre Mansi e Zulian ed era poi partito per capire come vivevano tra le distruzioni. Raccontò quell’esperienza sul “Paese sera” in un articolo bellissimo, diverso dagli altri che uscivano sulla stampa italiana e internazionale, in un affresco di letteratura giornalistica molto importante e che ancora deve essere ricostruito in maniera organica e ragionata. Editorialisti, grandi firme, scrittori narrarono il Friuli che cercava di rinascere, ma forse solo Rodari si dedicò ai più piccoli con un testo ripubblicato adesso sul numero 100 del periodico bimestrale “Pense e Maravee”, che sarà presentato oggi, alle 9, durante un incontro al Glemonensis.
A colpire lo scrittore era stata la ricca raccolta di proverbi, motti, detti e poesie popolari, tutti in marilenghe. E allora fece questa riflessione: «Assediato dall’italiano e dal veneto, il friulano resiste abbastanza bene, soprattutto nei paesi. È un cemento che sarà prezioso anche al lavoro di ricostruzione dopo il terremoto. Sarà per i friulani la difesa della propria identità e di una cultura che non deve morire. Di questa cultura, crollate le opere di pietra, restano a far compagnia agli uomini le opere della parola. In qualche modo torna ad avverarsi quanto diceva Hoelderlin: quello che resta lo fanno i poeti!».
La storia del lunario continuò già nel ’76 quando Grazia Levi coinvolse l’Unicef, tramite il presidente Arnaldo Farina, che l’anno dopo lo trasformò in diario scolastico, distribuito ai ragazzi delle elementari durante un incontro sotto il cupolone sistemato a Ospedaletto come municipio provvisorio.
E continua anche ai giorni nostri perché, sul filo di una memoria piena di curiosità e di rispetto, all’inizio dell’attuale anno scolastico gli scolari delle quinte e le loro maestre hanno ripreso in mano quei fogli del ’76, incontrando poi in una sorta di staffetta generazionale alcuni gemonesi di 50 anni, allora bambini. Hanno ascoltato i loro ricordi realizzando insieme la nuova tappa d’un lunario ormai lungo quarant’anni.
E tutto questo avrà il suo momento di festa proprio oggi, quando ci saranno tanti protagonisti, con un pensiero grato a quel gentile signore romano che aveva notato in particolare due cose. Sulla pagina di maggio, per il giorno 6, i ragazzi avevano scritto il detto: «Mai! No sai ce chi fasarai». Invece sulla copertina c’era la simpatica indicazione su come appendere in cucina il calendario: «A chi va il claut».
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