Quei giorni sulla Bernadia vissuti da “Carlo” e “Nina”

Ventinove febbraio: un vuoto nel calendario. Una voragine nella memoria. Evaristo Blasutto ha 18 anni, il 29-2-’44, quando Fritz Wunderle, il “boia di Colonia”, gli stringe il cappio intorno al collo....

Ventinove febbraio: un vuoto nel calendario. Una voragine nella memoria. Evaristo Blasutto ha 18 anni, il 29-2-’44, quando Fritz Wunderle, il “boia di Colonia”, gli stringe il cappio intorno al collo. Qualche minuto più tardi il corpo pende dal ramo di un pino di Villa Fior, nel centro di Nimis. Accanto, Tarcisio Cecutto, “Carlo”, 21 anni, e Gianni Buttolo, 24.

In Storie di partigiani, Gino Pieri riferisce che una donna si accanì con l’ombrello sul cadavere di “Carlo”. Da allora, sulle figure dei tre partigiani si è abbattuta una sequela di oltraggi.

Il primo fu Pieri, nel ’45. Indispettito dal trattamento riservato a un collega («il delitto di “Carlo” che fece più scalpore fu la uccisione del dottore Bonfadini di Tarcento»), Pieri sorvola su un dettaglio: Jacopo Bonfadini era seniore (leggi “maggiore”) della milizia, al servizio delle SS. Stando a Bruna Sibille-Sizia, si circondava di criminali, a partire dal genero, maggiore Guglielmo Grossi, braccio destro del comandante del reggimento “Tagliamento”. Alpini nazisti si coprirono di gloria il 15-12-’43 fucilando sei “ribelli” nel parco di Villafredda - strage “dimenticata” per settant’anni.

Per sporcare l’immagine di “Carlo”, Pieri lo invecchia di cinque anni e gli appioppa una moglie inesistente. Di qui lo scandalo: al suo fianco, sul monte Bernadia, una ragazza di Ciseriis attendeva un bambino. Pieri attribuisce a Natalina Biasizzo, la partigiana “Nina”, il nomignolo tardo-romantico di “Capinera”. Reminiscenze verghiane che riaffiorano in un giornaletto in edicola a Tarcento: “Nina” è definita una “dark lady”, traviata da “Carlo” mentre era in procinto... di prendere i voti.

Religiosa, “Nina” lo è sempre stata. Di Papa Francesco sussurra: «È uno dei nostri». Ma l’idea di farsi suora non l’ha mai sfiorata. Parla di “Carlo” con affetto: era generoso e buono. Impulsivo, certo, e chiamato a farsi carico di un compito immane. «Noi eravamo i primi. Venivano tutti su, in Bernadia, a chiedere aiuto: prigionieri scappati dai campi, i primi gappisti... “Carlo” accoglieva tutti, si faceva in quattro per organizzarli».

All’altro capo del tavolo, Dino Blasutto sorseggia un calice di verduzzo, versato da “Nina” con espressione complice: sull’etichetta, il profilo stilizzato della Bernadia. Dino ricorda la visita, a Monteaperta, di due ufficiali del Briško-Beneski Odred. Arrivarono di notte, due giorni dopo il supplizio del fratello, per fare le condoglianze alla famiglia. Avevano pianificato un’azione per liberare i tre partigiani, che conoscevano e stimavano; ma giunse il contrordine, a evitare rappresaglie sulla gente di Nimis.

Gli occhi della “dark lady” s’illuminano d’azzurro, mentre sfodera una foto scattata alla liberazione di Tarcento. Il sorriso di “Nina” ha il sapore della vittoria, del futuro che si apre, lasciando alle spalle un continuum di lacerazioni. In Bernadia, non salì per amore: i fascisti le davano la caccia, essendo l’animatrice del gruppo di donne che portava aiuto ai deportati, alla stazione di Tarcento. Luogo frequentato anche da Bonfadini; quando una raffica di machine-pistole stroncò la fuga di un aviere, il medico in camicia nera s’affrettò a certificarne il decesso, spedendolo all’obitorio che respirava ancora.

Il giorno della Madonna Candelora l’onda d’urto di una bomba scaraventò “Nina” contro una parete della cella, in via Spalato, sbalzando nel mondo il piccolo “Carletto”. Levatrici, le prigioniere politiche: cucirono le fasce con i loro fazzoletti.

Rilasciata dai tedeschi, “Nina” riprese la via dei monti: «Quella razza non deve vivere», avevano decretato i fascisti di Tarcento. Della giovane partigiana e del neonato si presero cura i garibaldini di Gondola; Vanni Padoan, commissario politico della Garibaldi-Natisone, cita “Nina” quale comandante del “battaglione femminile”.

Non c’è spazio, in questa sede, per ricostruire la vicenda di una ragazza che diede un contributo eccezionale alla Resistenza – ma che nessuno invita quando s’inaugurano i monumenti “alla donna partigiana”.

Venerdì, Nimis ricorderà per la prima volta i martiri di Villa Fior. Il Comune di Tarcento, pungolato da Silvano Culetto, enfant terrible della Resistenza della Terska Dolina, ha appena scoperto una targa ai fucilati di Villafredda (scordandone due, fra cui Virgilio, fratello di “Nina”...). Primi, incerti passi verso il recupero di memorie troppo a lungo rimosse?

Roberto Pignoni

Tricesimo

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