Quegli otto operai friulani sepolti dalla neve sui Pirenei e “riscoperti” solo 64 anni dopo

Ricorrono domenica, 24 marzo, gli 80 anni della “tragedia di Izourt”, dove persero la vita 29 italiani, tra cui otto friulani, e due francesi. Vennero travolti da una valanga nel cantiere di costruzione di una diga tra Vicdessos e Auzat. Alle 9, nella chiesa di Sant’Antonio da Padova, a Malafesta di San Michele al Tagliamento, viene celebrata una messa di suffragio.
Alla fine degli anni Trenta la Società Idroelettrica dei Pirenei sta costruendo la diga dell’Izourt, a quota 1.645 metri. Un manufatto di 46 metri d’altezza, 162 di lunghezza, 30 di larghezza alla base e 4 in sommità, e una capacità di 7,25 milioni di metri cubi d’acqua. I cinque cantieri rappresentano una fonte economica per molte famiglie. In quota, dei 349 operai, 107 sono italiani e quasi tutti fanno parte dell’impresa Peduzzi, specializzata nella costruzione di sbarramenti. Il 23 marzo 1939 i lavori sono sospesi già da due giorni – ricorda Claudio Petris di Zoppola, che ha riassunto quelle giornate – a causa delle abbondanti nevicate che superano i 2 metri. Gli operai sono costretti a rifugiarsi nelle baracche, poco distanti dalla diga.
Sono le 7.30 di venerdì 24 quando la bufera si intensifica e le raffiche di vento si fanno molto violente. Una slavina si stacca dalla montagna e si abbatte sulle baracche: le A, B e C vengono sommerse da oltre 10 metri di neve, i tetti sprofondano, la F viene colpita su un fianco. Per gli operai che si erano rifugiati là dentro da oltre 24 ore non c’è scampo. Alcuni vengono scaraventati a decine di metri.
Tra le vittime ci sono otto friulani: Umberto Braida di Travesio, Aurelio Del Fabbro e Giuseppe Giampaoli di Pagnacco, Ercole Gregorutti di Cassacco, Vincenzo Pezzetta di Buia, Settimo Serbosini di Tricesimo, Vicenzo Tassan Caser di Aviano e Carlo Zat di Zurigo, i cui genitori erano originari di Caneva.
I primi soccorsi vengono portati dai colleghi delle altre baracche risparmiate dalla valanga. Distrutti i collegamenti elettrici, bisogna attendere il primo pomeriggio per l’arrivo di una trentina di soccorritori tramite la teleferica.
All’alba del 25 marzo arriva la fanteria alpina, a 1.200 metri viene allestito un ospedale da campo. Le salme recuperate vengono portate a valle.
Il 31 marzo, dopo una cerimonia funebre alla presenza del console italiano, le 31 vittime (29 italiani e due francesi tra i 23 e i 52 anni, manovali, muratori, minatori, meccanici, un teleferista, un fabbro e un cuoco) in bare di zinco (per poter poi essere rimpatriate) vengono sepolte nel cimitero di Vicdessos. Sei mesi dopo scoppia la seconda guerra mondiale e quel dramma cade nell’oblio.
La prima commemorazione solo il 24 marzo 2003 quando nel cimitero di Vicdessos viene inaugurata una stele coi 31 nomi. Nel 2008 Morsano al Tagliamento si gemella con Tarascon-sur-Ariège, nel 2012 viene inaugurato il cammino della memoria, verso la diga.
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