Processo BpVi, è l'ora della sentenza dopo 116 udienze

Il tribunale di Vicenza si ritira in camera di consiglio. Venerdì o sabato la decisione. Chiesti 10 anni per Zonin

VICENZA. Cala il sipario sul processo monstre per il crac della Banca Popolare di Vicenza. Giovedì 18 marzo è andata in scena l’ultima udienza, la numero 116, si chiude così un procedimento giudiziario senza precedenti per il Veneto, considerato il caso Parmalat del Nordest. Venerdì 19 marzo potrebbe già esserci la sentenza. Il collegio giudicante presieduto da Deborah De Stefano, giudici a latere Elena Garbo e Camilla Amedoro, giovedì alle 14 sono entrate in camera di Consiglio e venerdì alle 14 daranno comunicazione su quando sarà data lettura del dispositivo. Le richieste dell’accusa, come noto, sono pesanti, per l’ex dominus Gianni Zonin i sostituti procuratori Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi hanno chiesto una condanna di 10 anni.

L’ex presidente Zonin, il banchiere vignaiolo, che nel corso di questi oltre due anni non ha praticamente perso un’udienza (per le sue assenze in aula bastano le dita di una mano), non sarà presente alla lettura della sentenza, non era presente in aula neppure giovedì per le repliche delle difese. Secondo alcune fonti è già lontano per evitare il clamore mediatico che qualsiasi decisione uscirà dal processo provocherà.

Severe in termini di anni le richieste della procura anche per gli altri imputati: per l’ex vice direttore generale Emanuele Giustini chiesti 8 anni e 6 mesi, per Paolo Marin, un altro vice del dg Samuele Sorato, e per l’ex consigliere di amministrazione Giuseppe Zigliotto, per il dirigente Massimiliano Pellegrini chiesti 8 anni e 2 mesi, infine per Andrea Piazzetta la richiesta della procura scende invece a 8 anni. Per la Bpvi società in liquidazione coatta amministrativa chiesta una sanzione pecuniaria di 300 mila euro.

A tutti e sei gli imputati vengono contestati il falso in prospetto, ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio. Fuori da questo processo resta invece Samuele Sorato, l’ex ad della banca, che ha appena iniziato il suo procedimento giudiziario, poiché la sua posizione è stata stralciata per motivi di salute.

Il processo iniziato a dicembre 2018 è stato uno sforzo imponente per arrivare a sentenza in tempi rapidi. Un procedimento mostruoso nei numeri, a partire dai fascicoli dell’inchiesta: circa 1 milione di pagine, 160 i testi sentiti da accusa e difesa, più di 8 mila le parti civili costituite.

Le prime udienza, si ricorderà, si tennero nell’aula bunker di Mestre, le stesse pareti che ascoltarono il processo del secolo alla Mala del Brenta. Nel corso del procedimento è emersa in tutta la sua plasticità il metodo delle baciate (le kissing share, come le chiama il Financial Times), cioè le operazioni correlate mediante le quali la banca dava credito per acquistare azioni proprie. In tutto è stato trovato oltre 1 miliardo di azioni correlate, che detto diversamente significa che alla banca mancava 1 miliardo di capitale, che va ad aggiungersi a tutte le coperture sulle sofferenze che, come emerse in seguito, erano assolutamente insufficienti.

Si è trattato di un processo lungo che ha impegnato accusa e difesa in una dialettica, a volte aspra, ma che si è caratterizzato da un grande fair play e dalla collaborazione di tutti. Non era un fatto scontato, visto il forte impatto sociale che ha avuto la morte dell’istituto vicentino, la nona banca italiana prima del crac e dello scoperchiamento dei fatti emersi con l’ichiesta. La presidente De Stefano ha così voluto ringraziare ieri, al termine dell’udienza, magistrati, avvocati, cancellieri e gli imputati, per essersi «sottoposti con schiettezza e lealtà al processo, in un contesto ambientale di certo sfavorevole». Un processo «lunghissimo, estenuante e dalle dimensioni titaniche», ha concluso, che il «tribunale vicentino è riuscito a portare avanti». —

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