Principe libanese nasconde 16 milioni

Omar Bassam Salamé è indagato per omessa dichiarazione dei redditi Sequestrati beni per 7 milioni euro al manager, consulente della Danieli
Di Cristian Rigo

Vive in Italia dal 1982 con la moglie e abita in un lussoso appartamento ai Parioli, ma dal 2003 al 2010 non ha presentato nemmeno una dichiarazione dei redditi, nascondendo al fisco 16 milioni di euro di imponibile. Protagonista della vicenda è un principe di nazionalità libanese, Omar Bassam Salamé, intermediario commerciale internazionale e ambasciatore “itinerante” della Liberia, indagato dalla Procura di Udine per omessa dichiarazione dei redditi e destinatario di un sequestro per equivalente emesso dal Gip del tribunale Paolo Lauteri per 7 milioni euro, pari alle imposte evase.

L’uomo, che ha 68 anni, è finito nel mirino delle Fiamme gialle in seguito ad alcuni accertamenti svolti all’interno della Danieli, la multinazionale di Buttrio che è tra i leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici. Salamé ha infatti svolto delle consulenze per le commesse in Medio-Oriente della Danieli ed è “seguendo” il pagamento delle fatture milionarie della spa friulana (tra le quali una sola dell’importo di 11 milioni) che gli investigatori hanno scoperto l’evasione. Salamé è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omessa dichiarazione nell’ambito di un’inchiesta della Procura che ha ipotizzato il reato di corruzione internazionale.

Il sequestro preventivo nei confronti del principe è ancora in corso di esecuzione: le Fiamme gialle hanno individuato beni mobili (tra i quali svariati gioielli, quadri e anche un’autovettura Lincoln) e immobili riconducibili all’indagato che, come detto, vive a Roma in un appartamento di lusso nel quartiere dei Parioli.

A seguito di perquisizioni e del sequestro di documentazione effettuati nella residenza romana del principe Salamé, i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Udine si sono convinti che l’uomo operava attraverso il ricorso sistematico a strumenti societari esteri di comodo, fittiziamente interposti nelle prestazioni economiche realizzate, ma in realtà direttamente a lui riconducibili.

Dalle indagini effettuate sono infatti emerse 19 società di diritto estero e/o off-shore che gli investigatori ritengono siano direttamente o indirettamente gestite da lui e 14 conti correnti esteri ubicati in Inghilterra, Svizzera e Montecarlo intestati e/o comunque riconducibili al medesimo o alle società estere riferibili all’indagato.

Non solo. Dagli accertamenti bancari svolti sono emersi anche continui e sistematici bonifici accreditati sui conti correnti nazionali intestati alla moglie del cittadino libanese, tutti provenienti da conti esteri intestati alle società estere dietro alle quali i finanzieri sono certi si nasconda sempre Salamé.

Non è la prima volta che il principe finisce nei guai con la giustizia italiana. Nel 1995 venne infatti arrestato in un appartamento vicino a Londra nell’ambito di un’inchiesta sulla cooperazione internazionale. Secondo l’accusa, all’epoca il finanziere avrebbe ottenuto un rimborso non dovuto dalla Sace, la sezione speciale per l’assicuazione del credito all’esportazione, di 5,5 milioni di dollari. Nel 1988 Salamé aveva infatti ottenuto l’appalto per la fornitura di materiale vario destinato a un ospedale di Khinshasa. Poi, nel 1991, dopo il mancato pagamento da parte delle autorità zairesi si era rivolto alla Sace ottenendo il rimborso. Secondo gli investigatori però non c’era nessun ospedale e il materiale, dopo essere rimasto a lungo sulle banchine di Khinshasa, sarebbe finito altrove, come Salamé che si era momentaneamente trasferito in Inghilterra.

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