Primi testimoni nel processo a un finanziere per corruzione

È dal controllo da parte degli agenti della polizia stradale, al casello di Vicenza Est nel novembre 2014, di un’auto su cui viaggiavano due orafi, il napoletano Gennaro Borriello, 54 anni, e Bernardo Capparotto, di 74, che è partita l’inchiesta che ha portato a processo l’ufficiale della guardia di finanza Giovanni Grassi assieme ad altri undici imputati, tra cui il presidente di Unindustria Pordenone Michelangelo Agrusti, 66 anni, tutti accusati a vario titolo di corruzione per compiere atti contrari al proprio dovere d’ufficio e per l’esercizio della propria funzione, accessi abusivi all’anagrafe tributaria e rivelazione di segreti d’ufficio. Ieri il processo s’è aperto con l’audizione dei primi testimoni. Tra questi gli agenti della polizia stradale che, nel novembre 2014, al casello di Vicenza Est, fermarono un’auto con a bordo Borriello e Capparotto. Nel bagagliaio della vettura, durante il controllo, furono trovati fogli d’oro e orologi di valore di cui i due passeggeri non sapevano fornire un giustificato motivo per il trasporto. Il materiale fu sequestrato per ricettazione e, mentre Borriello e Capparotto si trovavano in Questura a Vicenza, arrivò «inattesa» e «inopportuna», secondo l’accusa, la visita dell’allora capitano in forza al nucleo di polizia tributaria di Vicenza Giovanni Grassi. Il capitano delle fiamme gialle, accompagnato da un maresciallo, si presentò per sapere cos’era successo. Lui, è emerso ieri in aula, conosceva sia Capparotto sia soprattutto “Genni” Borriello. Fu quella visita inattesa del capitano Grassi a far sorgere qualche dubbio ai colleghi del nucleo di polizia tributaria di Vicenza che proprio in quel periodo stavano effettuando un’indagine sul commercio in nero di oro. «Quell’interesse al sequestro del materiale a Borriello e Capparotto – ha spiegato in aula un sottufficiale della finanza – ci sembrò quantomeno strano. Un sospetto confermato da un’intercettazione telefonica, intercorsa tra Capparotto e il capitano, all’uscita dalla Questura, in cui si sentiva Grassi dire: «Ci penso io». Altri due testimoni, sottufficiali della guardia di finanza, hanno riferito in aula di aver ricevuto diverse volte la visita in ufficio o telefonate da porte del capitano Grassi che chiedeva informazioni su chi fosse il pubblico ministero che si occupava del caso.

Tra i testimoni sentiti ieri anche uno dei soci di un’azienda di Mussolente, in provincia di Vicenza. «A fine 2014 – ha raccontato – ricevemmo la visita della guardia di finanza per un controllo di routine sui documenti riguardanti l’esenzione Iva. C’era anche il capitano Grassi. Qualche giorno dopo, lo stesso ufficiale chiamò in azienda chiedendo di me. “Sono da queste parti, ci possiamo vedere?”, mi disse. E poi mi chiese se avevo tempo per uscire a pranzo con lui. A quel pranzo ne se seguì un altro, sempre su sua richiesta. Finché poi un giorno mi chiamò al cellulare chiedendo se potevo prenotare un posto nel ristorante dove eravamo andati a pranzo due volte per festeggiare con una cena di pesce il compleanno della moglie. Così feci. Una settimana più tardi trovai il titolare del ristorante che mi disse che il capitano era passato, ma non aveva pagato il conto di quasi 300 euro. A quel punto lo saldai io». Secondo la difesa il conto Grassi lo pagò. Si tornerà in aula tra 7 giorni. —

M.F.



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