Pordenone, il sindaco Ciriani scrive ai presidi: «Mai più bambine con il niqab»

L’alunna di 10 anni in classe col velo. La vicenda emersa dai genitori degli alunni. La maestra è intervenuta senza atti formali. Il centro islamico prende le distanze

Martina Milia

PORDENONE. Il ritorno a scuola nelle primarie di Pordenone, ieri, ha fatto scattare l’indagine interna dei dirigenti scolastici e i controlli informali della polizia di Stato per risalire all’istituto e alla classe della bambina di dieci anni, arrivata in aula indossando il niqab, il copricapo che lascia scoperti solo gli occhi.

Un episodio che probabilmente la maestra avrebbe voluto rimanesse tra le mura della classe, ma che, raccontato dai genitori degli alunni, è diventato già un caso politico nazionale.

La lettera

Ieri mattina è subito partita la lettera, a firma del sindaco Alessandro Ciriani e dell’assessore all’istruzione Alberto Parigi, per sollecitare i dirigenti dei quattro istituti comprensivi affinché invitassero le insegnanti a far emergere con chiarezza le circostanze.

«Forse la maestra non voleva comunicarlo per le vie istituzionali – ha commentato Parigi, avendo risolto personalmente la vicenda, ma resta un episodio da verificare in tutti i suoi contorni, anche per un eventuale coinvolgimento dei Servizi sociali».

Bimba di 10 anni a scuola col niqab, la maestra le fa scoprire il volto
Il niqab è un velo che lascia scoperti solo gli occhi. Una bambina delle elementari lo ha indossato in una scuola di Pordenone

I genitori

Se i dirigenti scolastici anche ieri mattina avevano confermato alle istituzioni e ai media di non avere evidenze sull’episodio, sono stati i genitori di una quarta elementare della città (l’istituto non viene reso noto per proteggere l’identità dei minori) a uscire allo scoperto.

«Siamo stati noi a rendere nota la vicenda: la maestra ha sempre agito con saggezza e anche con grande discrezione» hanno dichiarato all’Ansa. Una difesa quanto mai necessaria, visto il polverone che il caso ha generato e che potrebbe mettere in difficoltà la docente per la mancata segnalazione di quanto avvenuto al dirigente scolastico.

«Questa bambina, originaria della Nigeria, è nata e cresciuta in Italia – hanno aggiunto i genitori –. È bastato l’intervento della maestra perché il niqab venisse sostituito dall’hijab, normale foulard che copre i capelli e il collo delle persone adulte di sesso femminile.

Visto che quella mattina la bambina era già arrivata, e l’insegnante non voleva farle perdere la lezione, per quell’unico giorno è rimasta in classe con il volto coperto e per i compagni è stato una sorta di gioco. Dalla mattina seguente nessuno è mai più tornato sul discorso».

Il Comune

Se il senatore Marco Dreosto ha annunciato, nell’immediatezza del diffondersi della notizia, che promuoverà un’azione parlamentare a tutela delle bambine islamiche, il sindaco di Pordenone e candidato alle europee per Fratelli d’Italia è stato altrettanto chiaro.

«Mai bambine con il niqab nella nostra città. Fosse vero il fatto – ha dichiarato Ciriani, in attesa di conferma ufficiale dalla scuola –. sarebbe semplicemente inaccettabile, contrario al senso comune della civiltà occidentale, lesivo della dignità di una bambina e di una donna. Chi vive qui non può imporre costumi che contrastano totalmente con lo spirito di integrazione che dovrebbe stare alla base del scegliere l’Italia come propria casa! La mia preoccupazione per l’immigrazione islamica in città non è legata alla paura di un attentato.

Temo di più il rischio che qualcuno possa impedire a un ragazzo o una ragazza islamici di godere delle libertà e delle opportunità di emancipazione e crescita civile garantite dalla nostra cultura e dalla nostra democrazia».

La scuola

Il caso non poteva non far discutere il mondo della scuola. Non è mancato un contraddittorio a distanza tra la dirigente dell’ufficio scolastico regionale, Daniela Beltrame – che ai microfoni della Rai ha parlato dell’importanza di non interferire con il processo di integrazione – e il consigliere regionale Alessandro Basso (Fdi): «La maestra non poteva fare diversamente.

Proprio perché siamo in assenza di una regolamentazione specifica, bene ha fatto ad agire secondo il buon senso nella direzione prioritaria della “riconoscibilità”. Tralasciando qualsiasi valutazione pedagogica, affermare, come ha fatto Beltrame, che si sarebbe messo in discussione il processo di integrazione – ha aggiunto Basso –, è completamente falso.

Al contrario, proprio questo abbigliamento distante anni luce dalla nostra cultura e dal nostro pensiero mette a repentaglio la buona integrazione che, invece, la scuola sa fare».

Il presidente regionale del sindacato dei dirigenti (Anp), Luca Gervasutti, ha ricordato che, anche se in Italia non esiste un esplicito divieto a indossare simboli religiosi, la legge Reale «vieta l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo».

La politica

Unanime il coro di reazioni politiche. Il segretario comunale della Lega, Alberto Santarossa, ha espresso preoccupazione: «Se il caso fosse confermato saremmo di fronte a un rifiuto all’integrazione. Parliamo poi di una bambina per cui è auspicabile un coinvolgimento dei servizi sociali.»

Il segretario provinciale del Pd, Fausto Tomasello, «nelle scuole pubbliche italiane tutti i bambini devono avere le stesse possibilità di crescere e svilupparsi liberamente senza subire pressioni ideologiche o pseudoreligiose».

Il dem Nicola Conficoni «Coprire integralmente con il velo il volto di una bambina è una inaccettabile forma di imposizione». Per il civico Marco Salvador «quegli indumenti, diciamolo, sono oppressione, non libertà. Questo la nostra società laica e liberale deve affermarlo chiaramente».

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