Popolari venete: in Fvg bruciati 1,5 miliardi

UDINE. Un miliardo e mezzo in fumo in Friuli Venezia Giulia. Soldi bruciati sull’altare del dissesto finanziario di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, che coinvolge circa 16 mila azionisti.
A tanto ammonta il “buco”, secondo i calcoli delle associazioni di tutela dei risparmiatori. Un collasso che non tiene conto degli effetti collaterali: consumi azzerati da parte delle famiglie coinvolte e diverse crisi aziendali che hanno portato anche a licenziamenti e chiusure di attività.
Intanto nel risiko delle Popolari venete, riflettori puntati, ieri, sull’istituto di Montebelluna. Il Cda, in una riunione fiume (alle 23 era ancora in corso), ha discusso e poi fissato il prezzo del titolo per l’ingresso a piazza Affari. Prezzo che dovrebbe essere di 0,1 euro per azione, medesimo copione, a poche settimane di distanza, di Banca Popolare di Vicenza. Sono state dunque ore cruciali per l’aumento da un miliardo di euro di Veneto Banca.
È iniziato alle 15.30 il Consiglio d’amministrazione della banca guidata da Cristiano Carrus per definire, sulla base delle risultanze della fase di pre-marketing, la forchetta di prezzo dell’operazione a servizio della quotazione in Borsa.
Una riunione fiume, che a tarda sera non si era ancora conclusa. E il motivo della grande attenzione è evidente: il forte rischio che gli attuali 88 mila soci (circa 3.500 in Fvg) vengano azzerati come avvenuto con BpVi. Secondo quanto risulta negli ambienti finanziari infatti, il prezzo minimo dell’offerta dovrebbe essere fissato a 10 centesimi per azione: una mossa identica a quella della banca berica che dai massimi dell’era Zonin ha bruciato oltre 6 miliardi di euro.
Se così fosse Montebelluna manderà in fumo, dal picco della gestione Consoli del 2012, quasi 5 miliardi di euro. Il prezzo massimo della forchetta, invece, sarà un valore simbolico (Vicenza lo aveva fissato a 3 euro), che in questo caso potrebbe essere intorno ai 50 centesimi.
Parallelamente al tavolo del board di Montebelluna, il consorzio di banche capitanato da Banca Imi sta definendo il contratto di sub-underwriting con Atlante, che subentrerà nella garanzia al pool di garanzia.
La firma è attesa a breve. Nel fine settimana, intanto, le altre banche sindacate (Credit Suisse, Citi, SocGen e Ubs) hanno fornito tutta la documentazione necessaria per il via libera all’operazione: dopo lo scambio delle “comfort letter” hanno firmato infatti i rispettivi “underwriting agreement”. Il lancio dell’operazione è previsto per il 6 giugno (fino al 20 e con eventuale quotazione il 28).
In attesa delle decisioni del Cda, intanto i soci restano alla finestra. Secondo quanto dichiarato dal presidente dell’associazione dei soci Bruno Zago, c’è fiducia che l’operazione trovi il sostegno di almeno il 30% dell’attuale compagine sociale, vale a dire 300 milioni di euro. Se così fosse il flottante sarà ampiamente sufficiente per garantire la quotazione in Borsa.
Intanto qualche giorno fa le associazioni di consumatori Adusbef e Federconsumatori hanno “quantificato” il buco di Veneto Banca e BpVi: 18,9 miliardi di euro “spalmati” su 210 mila risparmiatori di diverse regioni italiane. Una cifra mostruosa, un disastro peggiore di quello di Parmalat.
E in Friuli Venezia Giulia quanto ha pesato la distruzione di valore? Fatte le debite proporzioni si può stimare che il danno, per circa 16 mila soci (12.500 di Pop Vicenza, altri 3.500 di Vb) sia di circa 1,4 forse 1,5 miliardi di euro. In confronto alle due Popolari, il crac di CoopCa, la storica cooperativa di consumo della Carnia, che ha tenuto banco tra il 2014 e il 2015, è acqua fresca, almeno nei numeri.
Basti pensare che i circa 3 mila soci prestatori hanno perduto 8 milioni di capitale sociale e altri 13,5 milioni di risparmi, al netto dei ristori promessi dall’Alleanza Coop 3.0. Parliamo di milioni, cifre indubbiamente importanti per chi si è trovato da un giorno all’altro con i libretti bloccati e i soldi di una vita spariti, ma nei casi di BpVi e Vb il calcolo è in miliardi di euro. E soprattutto il danno è molto più capillare e diffuso rispetto a quello di CoopCa, quest’ultimo concentrato nell’Alto Friuli e nella zona Pedemontana.
Correntisti e azionisti delle banche venete invece si trovano dappertutto, da Pordenone a Udine, da Gorizia a Codroipo, da Casarsa a Sacile. E tra di loro vi sono non solo privati cittadini, ma anche moltissime aziende, che hanno fatto investimenti o che hanno aperto fidi per somme ingenti.
Il miliardo e mezzo evaporato (le azioni adesso valgono 10 centesimi, mentre in occasione degli ultimi aumenti di capitale erano state acquistate a 62,50 euro per BpVi e a 48 euro per Vb) ha pure degli effetti “collaterali”. Le vittime, senza più denaro, o con capitali ridotti ai minimi termini, per un lungo periodo non saranno più consumatori attivi: non spendono, non investono.
Non cambiano l’auto, i mobili, zero spese se non per la sopravvivenza. Logico pensare che una platea di 16 mila famiglie in queste condizioni possa condizionare, in negativo, il Pil della regione.
E poi c’è il capitolo dedicato alle imprese. Un paio di aziende friulane sono già fallite per l’esposizione con BpVi, parecchie altre denunciano una forte crisi di liquidità. La conseguenza? Chiusure di attività e licenziamenti di operai e impiegati, quindi un’altra mazzata per l’economia del Fvg.
Infine Federconsumatori del Fvg è sempre impegnata nell’assistenza delle oltre 1.500 persone “tradite” da BpVi e Vb che si sono rivolte agli sportelli dell’associazione.
«Il fondo Atlante è già proprietario di Popolare di Vicenza - spiega la presidente regionale Barbara Puschiasis - e potrebbe essere che prenda il controllo anche di Veneto Banca. Non è escluso che si faccia, alla fine, un’incorporazione, una fusione tra i due istituti.
E’ un’ipotesi plausibile se il proprietario dovesse essere lo stesso. In ogni caso temo che per quanto riguarda le azioni risarcitorie se ne riparlerà a settembre. I vertici del fondo Atlante vogliono, come è logico, avere sotto controllo la situazione complessiva prima di agire».
Banca Popolare di Vicenza non “agevola” certo coloro che intendono adire le vie legali o comunque chiedere i tavoli di conciliazione per ottenere almeno una parte dei risparmi bruciati in azioni.
Nelle ultime settimane, infatti, sono state addebitate direttamente sul conto corrente degli interessati le somme per la richiesta di documentazione relativa alle singole posizioni. Si va da un minimo di 7,50 euro a un massimo di 200 euro per le situazioni più complesse. Del resto l’ex azionista “tradito”, non ha alternative: senza quelle carte non può nemmeno valutare la propria posizione.
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