Polo Perucchin, la storia del più “vecchio” italiano che ha corso il Tour

aviano. «Mantengo la dieta di quando correvo i Tour de France, di quando nel 1956 ho vinto il giro di Sicilia e non manco di praticare ogni giorno un’ora di cyclette. Sarei più contento in sella a una delle mie biciclette da corsa, ma qualche anno fa, mentre pedalavo, mi ha investito un’auto. Ho dei problemi alla schiena e devo essere prudente».

A raccontare è Pietro Polo Perucchin, 91 anni, “Polò” per i “cugini” francesi. Perucchin è l’ultimo superstite di quella brigata di ciclisti italiani che, dopo la guerra, negli anni ’40 e ’50 si sono fatti valere in Italia, in Francia e altrove. Dopo la recente scomparsa del bergamasco Vittorio Seghezzi, 95 anni, rimane solo l’avianese a raccontare l’epopea del ciclismo del dopoguerra. Coppe e trofei in vetrina, valige piene di maglie che ha indossato sulle strade d’Italia e di Francia.

Nella sua villetta le biciclette di settant’anni fa tirate a lucido che sembrano uscite da una bottega artigiana. «Sono rimasto l’ultimo testimone – commenta Perucchin – di un’epoca di sacrifici, fatiche, strade sterrate e pavé. Ero gregario, passista e scalatore. Qualche volta ho superato i grandi che neanche mi conoscevano, come nel 1952 quando ho vinto sul Circuit du Mont Ventoux, stabilendo il record della corsa, o nel 1956 quando mi sono aggiudicato il Giro di Sicilia a tappe. Anche nel Grand Prix du Midi Libre mi sono fatto valere, aiutando a vincerlo il mio capitano Raphael Géminiani».

L’ammirazione di Perucchin accomuna Géminiani e Anquetil. «La scomparsa di Vittorio Seghezzi – commenta Pietro – mi ha rattristato. Aveva qualche anno più di me, era uno sprinter. Nei circuiti dove mi ingaggiavano, ricordo di aver conosciuto anche Attilio Redolfi, avianese come me, ma naturalizzato francese. Io, invece, ho sempre mantenuto la nazionalità italiana. Sono stato selezionato una decina di volte per la “Grande boucle”, potendo partecipare solo a due Tour, nel’ 54 e nel’ 58. La settimana prima del via arrivava un francesino che mi contestava in quanto immigrato italiano e così finiva per prendere il mio posto».

Amarezze messe via senza recriminare. Due mesi fa Perucchin ha ricevuto la visita di Faustino Coppi, figlio del Campionissimo. «Per me è stato un onore. Gli ho ricordato – afferma Perucchin – come suo padre, al giro di Lombardia del 1956 mi raggiunse a poche centinaia di metri dal traguardo del Vigorelli. Per me era svanito un sogno e andò male anche al grande Fausto che venne preceduto di mezza ruota dal velocista André Darrigade. Se guardo all’oggi – conclude Pietro Polo Perucchin – vedo crescere cinque nipoti, alcuni con la passione della bici. Con loro conto di salire a Piancavallo quando si concluderà una tappa del Giro d’Italia». –

S.C.

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