Per il giudice il marito soffre di depressione, salta l'assegno di mantenimento a moglie e figlio

La Corte d’appello ha ribaltato la sentenza di condanna di un uomo che non era in grado di pagare gli alimenti

Non compie reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare colui che, per motivi di salute, non versa l’assegno di mantenimento a coniuge e figlio minore. Così ha deciso la corte di appello di Trieste che, ribaltanto una sentenza di condanna di primo grado del tribunale di Pordenone, ha assolto un uomo inizialmente accusato di non avere versato l’assegno per quattro mesi pur essendo stato, il minore, sostenuto economicamente dai nonni paterni. Di rilievo, inoltre, il pronunciamento dei giudici dopo l’entrata in vigore della riforma dell’articolo specifico del codice penale.

Il caso riguarda un pordenonese che, nel giugno 2015, era stato condannato dal giudice monocratico a due mesi di reclusione e 200 euro di multa convertiti in 15 mila 200 euro di multa. Era accusato di non avere versato quattro mensilità – pari a 350 euro ciascuna – a ex moglie e figlio minore quale assegno alimentare nella seconda parte dell’anno 2012.

Assistito dall’avvocato Roberto Russi, l’uomo si è opposto alla sentenza di primo grado. Proprio nel momento in cui è entrato in vigore – il 6 aprile – l’articolo 570 bis del codice penale che prevede il carcere sino a un anno e la multa sino a 1.032 euro per l’ex coniuge che si sottrae all’obbligo di pagare quanto pattuito in sede di separazione o divorzio in favore dell’altro coniuge e dei figli. Prima, invece, reclusione e multa erano previste solo per chi faceva mancare i mezzi di sussistenza, ovvero l’essenziale per vivere.

Il caso è stato ripreso in esame dalla Corte di appello. L’imputato, infatti, non era in grado di svolgere alcuna attività professionale in quanto non idoneo dal punto di vista psicologico. Era in stato di profonda depressione. Consapevoli di questa situazione, i nonni paterni, ovvero i genitori dell’imputato, non avevano fatto mancare nulla al nipote minore. Ciononostante partì il procedimento penale.

L’uomo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato: non si era sottratto alla possibilità di lavorare e quindi di guadagnare. Era la malattia che gli impediva di farlo. Ancora, la sua condotta derivava esclusivamente da questo.

«Siamo in un momento di forte crisi, se una persona non ha disponibilità economiche, basta accertarsene dai redditi. Il mio assistito – conferma l’avvocato Roberto Russi – non era nelle condizioni psicologiche di poter adempiere all’obbligo di assistenza e di lavoro».

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