Pellis: «Non vaccinarsi ora vuol dire rubare agli altri il diritto alla salute»

«Non vaccinarsi adesso vuol dire più lockdown e rubare il diritto alla salute degli altri».
È con queste parole che il dottor Tommaso Pellis, direttore della struttura complessa di anestesia e rianimazione dell’ospedale di Pordenone, ha introdotto ieri sera, nella Sala Grande di Cinemazero, il documentario “Io resto” del regista Michele Aiello, che narra un mese dentro la vita di un ospedale, sospeso di fronte all’ignoto, nel pieno della pandemia da Covid-19. Attraverso la videocamera, si documenta il fardello emotivo e la gentilezza nei rapporti tra i pazienti e il personale sanitario durante lo scoppio della pandemia da Coronavirus. Un docufilm che coglie con rispetto l’instaurarsi di nuove relazioni tra pazienti e personale sanitario, entrando in empatia con le paure dei malati e con l’ascolto professionale ma accorato di medici e infermieri.
Entrato in punta di piedi, immaginando questo documentario nei giorni in cui veniva dichiarato il lockdown, Aiello era partito con l’idea di raccontare il solo lavoro degli operatori sanitari, ma successivamente ne è nata una visione d’insieme di quel che succedeva nei reparti.
Pellis, introdotto da Marco Fortunato, responsabile della programmazione di Cinemazero, ha ringraziato colleghi e operatori che hanno riempito la sala cinematografica. «Nel film emergono spunti veri – ha affermato il primario –. I sacchi neri che abbiamo chiuso a volontà, la comunicazione con le famiglie, con i moribondi, con persone che non eravamo abituati a veder morire, perché erano persone che avevano una traiettoria di vita davanti. Non ci sono le scene più crude, quelle che hanno graffiato l’anima di quelli chi ha lavorato in trincea, però aiuta a capire moltissimo».
Pellis ha ricordato l’angoscia per dare una risposta a tutti. «I pazienti gravi arrivavano la sera – ha raccontato – ed era una battaglia con trasferimenti negli ospedali della regione, con i nostri piani che saltavano e l’angoscia di non offrire quello che era doveroso offrire ai pazienti. Durante l’ora più buia della seconda ondata siamo arrivati a 230-240 ricoverati in un ospedale da 500 posti». Mancava lo spazio. E con esso la dignità.
«Da cittadini non dimenticatelo per il futuro: preservate la sanità» ha concluso il primario, lasciando spazio alla proiezione del film che rientra nel ciclo “Aspettando le voci dell’inchiesta”. —
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