“Passionaccia” Vespa, quel mito italiano che non tramonta mai

UDINE. Non è semplice raccontare la passione per la Vespa. È un mix di cose diverse. C’è l’orgoglio di possedere un mezzo storico, che dal 1946 a oggi ha scandito la storia d’Italia. C’è la voglia di ripercorrere le esperienze fatte dai piloti del passato, che in sella alla Vespa partecipavano a competizioni di centinaia di chilometri senza farsi troppi problemi (di tempo e logistici).
C’è il desiderio di conoscere posti nuovi guidando un mezzo che, come si è soliti dire oggi, consente di fare un’esperienza di turismo “slow”, godendosi i paesaggi, senza fretta. Un po’ tutto questo ha contribuito a far crescere in chi vi scrive la passione per la Vespa: inizialmente, da bambino, in sella insieme al nonno, poi, da adulto, su una 50R del 1971.
Dal cinquantino il passo verso un 125 è breve, e in un attimo ti trovi alla guida di un Faro Basso del 1953. Perché quando la Vespa ti entra nel sangue, diventa come una “droga”, una vera e propria ossessione. Bisogna imparare a controllarsi.
In breve tempo si passa dai raduni della domenica alle Audax, e il punto di vista cambia completamente. Se i primi sono vere e proprie scampagnate di poche ore insieme ad altri appassionati, le seconde sono rievocazioni storiche che sfiorano la maniacalità, con la cura di ogni particolare: i percorsi, l’abbigliamento, gli accessori, la misurazione del tempo.
Ormai la Vespa non è più solo un mezzo economico e comodo per spostarsi, ma uno stile di vita. Quando indossi il casco ti fai inebriare dal “profumo” della miscela, le forme (spesso generose) delle Vespa ti appaiono come le più belle del mondo, i paesaggi che attraversi a 60 km/h non hanno eguali.
Tutto ciò che fai assume una sapore particolare, come le prove di regolarità, dove ciò che conta non è la velocità, ma la precisione nel raggiungere un luogo a un orario prefissato. Un vortice di emozioni che negli ultimi mesi hanno permesso a chi vi scrive, prendendo parte ad alcune Audax (rievocazioni di un passato che ha lasciato il segno), di inerpicarsi sui tornanti verso i passi Tonale e Giau, di attraversare il lido di Venezia e di “conquistare” Cortina, di lambire i laghi di Garda e d’Iseo e, a breve, di mettersi alla prova con Crostis e Panoramica delle Vette, dove nemmeno Contador e compagni, qualche Giro d’Italia fa, hanno osato andare.
Freddo, caldo, pioggia o sole non fa differenza: in un paio di giorni si percorrono 4-500 chilometri per il puro gusto di farlo, magari indossando il casco del presidente del Vespa Club Udine degli anni Sessanta o sfoggiando una placca di un raduno della fine degli anni Quaranta.
È questo a fare la differenza. Ma come tutte le cose belle, serve un po’di accortezza: la Vespa, soprattutto d’epoca, va maneggiata con cura e con rispetto, bisogna entrare in simbiosi con lei, e soprattutto essere sempre pronti a sporcarsi le mani. I guasti sono dietro l’angolo.
Ma si sa, al grande amore si perdona tutto…anche il fatto di averti lasciato a piedi nel bel mezzo di una gara. Prima o poi ci sarà un’altra occasione per ripartire. Ovviamente in sella alla tua Vespa.
* giornalista e vicepresidente
del Vespa Club Udine
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