Paparotti e la sua Chiesa un legame di vent’anni

Domani, alle 19, la comunità si riunirà in preghiera prima della cena in parrocchia I residenti: il Comune dedichi il piazzale del luogo sacro a don Lavia
Di Ido Cibischino
ANTEPRIMA Udine 06-02-2010 parrocchia sant'anna
ANTEPRIMA Udine 06-02-2010 parrocchia sant'anna

«La nostra società è nella morsa di una crisi senza precedenti perché ha perso la sua forma spirituale, la sua cultura, la sua anima. Non c’è che un mezzo per superarla: un ritorno alla spiritualità. Questo è il grande compito dei cristiani di oggi». All’intervento dell’allora arcivescovo Alfredo Battisti, si era unito con un’invocazione in friulano semplice e diretta (Madonute benedete, cumò che o vin une glesie gnove, judinus a jessi une gnove Glesie. No sta aviliti e no sta abandonanus) il parroco Giuseppe Lavia. Il compianto don Beppino che, dopo l’iter preliminare seguito dai predecessori don Armellini e don Ghenda, era stato il traino di un progetto che in cinque anni di cantiere aveva dato al più giovane dei quartieri udinesi, con una popolazione vicina ai 2.500 residenti, il tanto atteso centro di aggregazione religiosa e sociale.

Sono trascorsi vent’anni (la cerimonia avvenne il 25 giugno 1994) dall’inaugurazione e dedicazione a Sant’Anna della nuova chiesa di Paparotti, firmata dall’architetto Gianpiero Mingotti: chi transita per viale Palmanova la vede svettare con le sue linee verticali, giovani e ricche di energia, tra il verde del parco che la circonda. Quell’avvenimento sarà rievocato domani con un rito solenne che si terrà alle 19 impreziosito dalle voci del coro Ana di Talmassons (all’organo il maestro Beppino Tullio), cui seguirà una cena comunitaria in sala parrocchiale.

L’ulteriore sviluppo edilizio – nuove lottizzazioni e qualche “casermone” – non ha tolto a Paparotti quell’aria vagamente balneare suggerita dalle schiere di villette con giardini pieni di colori e di profumi che si riversano sulle vie interne. E appunto come i luoghi di soggiorno vacanzieri Paparotti ha incarnato la provvisorietà per tante famiglie “in transito”, quelle dei militari in particolare, che vi si insediavano prima che i ranghi delle forze armate venissero drasticamente ridotti. Residuo di quelle presenze sono oggi decine di appartamenti sfitti, addirittura un condominio intero, che prima o poi saranno gli immigrati a occupare e Paparotti aumenterà la sua già notevole multietnicità, così articolata da scoraggiare qualsiasi tentativo di integrazione.

Quartiere nuovo, popolato da persone di varia provenienza cui non sono bastati 20 o 40 anni per conoscersi, per creare una storia comune, un tessuto identitario. Anche per mancanza di strutture e di occasioni d’incontro, per disinteresse verso ogni forma di associazionismo, per l’isolamento al quale si votano i non più giovani. Unico faro, unico riferimento comunitario, la chiesa e le articolazioni parrocchiali a fiancheggiare il “mezzo” parroco (l’altra metà è per Cussignacco) don Pier Paolo Costaperaria, che sta raschiando il residuo di energia e di forza trainante per reggere sulle due trincee. Sempre gli stessi del nucleo storico, pieni di buona volontà epperò a rischio esaurimento e abbandono, senza ricambi perché i giovani scompaiono dopo gli “eventi” della prima comunione e della cresima, salvo materializzarsi anni dopo a branchi notturni, tra birre e sigarette, sul sagrato della chiesa per incontri di dubbia decifrazione.

Allora verrebbe da chiedersi cosa abbia da festeggiare la comunità cristiana di Paparotti. Il fatto di essere viva, che non è poco: viva nelle apprezzate omelie del parroco, nell’impegno dei catechisti, nelle belle voci dei lettori di Epistole e Atti, nelle meravigliose composizioni floreali che adornano l’altare, nella disponibilità di chi tiene in vita l’Estate ragazzi, nel sudore degli sfalciatori del prato. Dunque: resistere e rinnovare l’invocazione di don Beppino, vent’anni dopo più che mai attuale.

A proposito di don Lavia, e proprio nell’ottica di consolidare un personaggio storico di riferimento, va rilanciata con forza la proposta di intitolargli il piazzale della chiesa. Sarebbe il riconoscimento a una bella figura di sacerdote e missionario, che aveva nella semplicità, nell’esempio e nella saldezza della fede la sua potente calamita, il mezzo per arrivare nelle profondità delle coscienze; così come la concretezza contadina lo indirizzava subito alla radice e alla soluzione dei problemi pratici. L’avesse conosciuto, sarebbe piaciuto molto anche a Papa Bergoglio.

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