Nimis, la “piccola Marzabotto” e le sue vittime del fascismo
Il paese ebbe 106 civili morti, 40 soldati caduti, 46 decessi nei campi di concentramenti. Lo storico, citando Primo Levi, avverte: «Chi non ricorda il passato è destinato a riviverlo»

Cosa restava di una casa di Nimis distrutta dall'incendio del 1944
Incominciamo con qualche dato su Nimis, piccola Marzabotto della Seconda guerra mondiale: 106 vittime civili, 144 forze della Resistenza (62 del paese), 40 soldati caduti o dispersi, 46 morti in campi di concentramento, 452 case e 318 rustici incendiati da cosacchi e nazifascisti, a fuoco tutti gli edifici pubblici, circa 2.200 sfollati, perduto l’80% del patrimonio zootecnico: fu questo, localmente, l’esito della guerra voluta da Mussolini.
È questo l’uomo rimpianto e onorato da un Signore di Nimis e dai tifosi della Lazio a Milano?
Sanno che per identiche manifestazioni di simpatia rivolte, in ipotesi, a Turati, o a don Sturzo (entrambi costretti a vivere fuori d’Italia), in un anno compreso fra il 1922 e il 1945, sarebbero stati arrestati, inquisiti e spediti al confino di Lipari o Ventotene?
Se oggi possono impunemente esprimere le loro idee debbono (dovrebbero) ringraziare quanti aiutarono gli Anglo-americani a far finire quella dittatura.
Come è facile dimostrare, nessuno causò all’Italia più danni e lutti di Mussolini (che fu fra i più accaniti interventisti nel 1914-1915), lasciandoci in eredità anche le turpi leggi razziali, e altrettanto può dirsi di Hitler per la Germania: dall’abisso del Novecento Franco uscì meglio di loro, perché non volle partecipare alla guerra del 1939 e protesse gli ebrei.
Tutto questo è provato in maniera incontrovertibile, ma allora si mettono in moto il movimenti del revisionismo e del negazionismo. L’Olocausto, ad esempio, è il crimine più e meglio dimostrabile della storia con documenti prodotti da quanti lo programmarono e lo realizzarono: gioverà affermarlo ancora una volta?
Crediamo proprio di no! Se uno è convinto che Cristo sia morto di freddo; che non siamo mai andati sulla Luna; che l’Olocausto sia un falso storico, come possiamo noi democratici, figli della Resistenza, convincerlo del contrario? Possiamo soltanto ricordagli che i sullodati dittatori avrebbero adoperato i loro mezzi di convinzione per fargli cambiare idea!
D’altra parte, il sentimento politico è spesso irrazionale. Avete mai visto, nei filmati, accanto al feretro di Stalin qualche donna che piange per la morte di colui che l’ha resa vedova facendo fucilare suo marito o suo figlio per deviazionismo? Ricordate la Signora Goebbels, che per non vivere in un mondo senza il Führer uccise i suoi sei bambini e poi si suicidò?
I nostalgici del fascismo ricordano spesso gli errori e i delitti della Resistenza, che pure ci furono, ma non possono essere equiparati per quantità e qualità a quelli dei nazisti e dei fascisti: gli errori dei partigiani furono episodi deplorevoli, compiuti per responsabilità individuali o di piccoli gruppi, che non scalfirono i principi ispiratori della lotta di liberazione; quelli dei loro nemici furono i risultati strutturali di sistemi politici costruiti ad hoc, sulla base di programmi chiaramente enunciati, che ottennero il consenso di vaste maggioranze, convinte di poter guarire dalle malattie contratte durante la Prima guerra mondiale mandando al potere dittatori capaci di decisioni rapide e davvero “irrevocabili”.
Ma allora, diranno i nostri lettori, se non possiamo convincere il Signore di Nimis, i “laziali” di Milano e purtroppo anche altri, perché scrivere?
Conviene riproporre la memoria non per convincere costoro, ma per evitare che i giovani, acriticamente dipendenti dal web, dimentichino il passato e il sacrificio di quanti lottarono perché fossero liberi.
Chi non ricorda il passato, ammonì Primo Levi, è destinato a riviverlo. —
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