Net pensa ad allargare gli uffici, il costo degli immobili è di 4 milioni: il pressing sul sindaco De Toni per dire no
L’idea è di acquistare la struttura di viale Palmanova per il quale però è previsto un esborso che non piace nè al centrodestra nè al centrosinistra. La nuova sede in via Gonars è stata inaugurata solo nel febbraio 2023
Il progetto, abbozzato in via informale nella passata consiliatura e con il precedente management, è tornato d’attualità in queste settimane, ma rischia di naufragare a breve, fermato dalla marea di “no” che sta emergendo tra i partiti politici. Parliamo, nello specifico, dell’idea di Net di acquistare un immobile in città per ricavarci, previa ristrutturazione, una nuova sede per gli uffici della società. Non soltanto, però, perchè, se questi rumors sono confermati da palazzo D’Aronco, sarebbe anche già stata individuata l’area prescelta in una struttura di viale Palmanova che prevederebbe un esborso economico attorno ai 4 milioni di euro, soltanto per l’acquisto.
È proprio questo, nel dettaglio, il primo problema da affrontare e che fa storcere il naso tanto alla maggioranza, quanto all’opposizione. Detto, infatti, come sia pressochè irreale ritenere che i fondi necessari siano recuperati attraverso una serie di stanziamenti da parte dei soci – a partire dal Comune di Udine che detiene il 68% delle quote –, il finanziamento per l’operazione potrebbe di fatto avvenire soltanto attraverso quella che può essere chiamata fiscalità generale. Intervenendo, cioè, sulle tariffe di raccolta e smaltimento dei rifiuti ritoccandone il valore all’insù.
Ma ben in pochi, a palazzo, hanno intenzione di imboccare questa strada. Specialmente perchè l’attuale maggioranza municipale ha già aumentato l’addizionale Irpef all’alba della consiliatura. Fare crescere i costi per i cittadini anche in materia di rifiuti, non farebbe altro che trasformare i movimenti di centrosinistra nei “partiti delle tasse” con evidenti, e quasi automatiche, conseguenze sull’umore degli udinesi e, di riflesso, sul consenso. Il tutto, tra l’altro, senza dimenticare gli attacchi al centrodestra, all’epoca di Pietro Fontanini come sindaco, sul porta a porta che avrebbe portato a maggiori costi per i residenti. In sintesi, la situazione è del tutto simile alla voce sull’ipotesi di allargamento della giunta che, non per nulla, pare essere già tramontata.
C’è di più, in ogni caso, della pur importante e impattante, questione economica. La Net, infatti, ha inaugurato la nuova sede operativa a febbraio del 2023, meno di due anni fa, e quasi tutti in maggioranza faticano a capire il senso, o quantomeno la necessità, di un’eventuale nuovo allargamento. In uno scenario che, peraltro, avrebbe bisogno di diversi mesi, se non anni, per essere portato a termine e all’interno di un quadro generale in cui la Regione spinge – e non poco – sul progetto di nascita di una multiutility che, possibilmente, metta assieme il ciclo dell’acqua e quello dei rifiuti. Se a fine 2023, nel dettaglio, è stato creato un fondo da 4 milioni per favorire le unioni tra soggetti gestori del sistema idrico, poco prima dell’estate è stata varata in Consiglio regionale anche la norma che ne ha definito le regole.
Vale per l’acqua, certamente, ma non è un mistero che a Trieste si muova un asse trasversale che vede con grande favore processi di aggregazione più vasti. A partire da Net e A&T2000, ma con la possibilità di ragionare anche su Cafc, Isontina Ambiente e Hydrogea. L’obiettivo, in altre parole, è quello di provare a fare sistema per restare competitivi sul mercato e, soprattutto, controllare, calmierandole, le tariffe per gli utenti. Non serve un fine analista politico ed economico, pertanto, per intuire come impegnare svariati milioni di euro di uno dei player principali di questo schema nell’acquisto di un immobile avrebbe come conseguenza il rallentamento, se non il rischio di stop vero e proprio, a un processo aggregativo che trova sponde fertili – e non accade spesso – tanto a destra quanto a sinistra.
Considerato, infine, come l’Assemblea dei soci di Net abbia la parola definitiva quando si tratta di autorizzare spese di questa rilevanza, non sorprende il pressing su Alberto Felice De Toni da parte di ampie fette di maggioranza per bloccare l’operazione nella culla. Perchè se è vero che il Cda di una società è sovrano, è altrettanto vero che chi controlla poco meno del 70% delle azioni ha voce in capitolo. Ampiamente.
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