Myrta Merlino: "Il terrorismo in tv? Va dosato e filtrato"

UDINE. Il rischio, quando i terroristi ti sorprendono a teatro, i foreign fighters vivono nella porta accanto e masse di richiedenti asilo scappano dalle loro terre infuocate, è che alla tv e sui giornali tutto si trasformi in guerra e che la paura abbia il sopravvento.
È in quel momento che il giornalista deve fermarsi, riflettere e scegliere. Anche a costo di rinunciare a qualcosa: a notizie e immagini che con il loro sensazionalismo spiegano poco e danneggiano molto.
Myrta Merlino, la conduttrice di “L’aria che tira”, in onda ogni mattina su La7, lavora così: racconta fatti e storie e lascia fuori dagli studi le «frasi un tanto al chilo», la «retorica» e «i facili allarmismi».
L’incontro che ieri pomeriggio ha aperto i dibattiti nella sala grande, al teatro “Giovanni da Udine”, è stato uno splendido compendio di giornalismo televisivo.
Quello che, in due ore e mezza di trasmissione, riesce a mostrare agli italiani ciò che quotidianamente succede nel mondo, aiutandoli a capire e giudicare ogni problematica, anche la più complessa, con linguaggi semplici e senza sbavature di sorta.
Tanto più, quando le cronache impongono di parlare degli scempi del terrorismo e il rischio di esagerare, e finire così per fare il “loro” gioco, diventa altissimo.
Sul palco accanto ai colleghi Mattia Pertoldi, che ha condotto l’incontro, e Antonio Bacci, intervenuto al posto di Daniele Mastrogiacomo (impossibilitato a partecipare per un problema dell’ultimo momento) e che ha fatto il punto sulla presenza della comunità islamica in regione, la giornalista di La7 ha alternato i propri interventi alla proiezione di alcuni spezzoni di puntate particolarmente sigificative.
Come quella cominciata sulle note della Marsigliese, il giorno dopo il massacro del Bataclan, a Parigi.
«Da Charlie Hebdo in avanti sono talmente terribili le notizie – ha affermato Myrta Merlino – che si corre il pericolo di creare a nostra volta allarmismo.
E allora bisogna importi una regola: cosa mandare in onda e cosa no. Noi abbiamo scelto di non mostrare i tagliagola e i video propagandistici dell’Isis.
Perchè questo è un terrorismo che costruisce messaggi per i media. Quindi, l’imperativo è dosare i toni e rifuggire dalle loro trappole, evitando di essere strumentalizzati. Ma farlo – ha aggiunto – non è affatto facile e noi lo abbiamo imparato un po’ alla volta».
Oggi, però, a complicare le cose c’è il web. «Come faccio a raccontare la realtà con questi miei filtri – ha osservato –, se poi la “rete” pubblica ogni cosa e ti travolge con il suo flusso di notizie e di immagini? L’importante è tenere sempre a mente che noi possiamo e dobbiamo essere anche un argine e che per comunicare serve sobrietà.
Una cosa è essere empatici e partecipare agli eventi che raccontiamo, un’altra è fare diventare tutto come se fosse “l’ultima volta”». Per non dire del «politicamente corretto», che la giornalista bandisce senza mezze parole. «Dobbiamo invece essere molto fieri della nostra identità – la sua conclusione –, perchè questo ci consente di dialogare».
Fieri e anche attenti, ha ammonito Antonio Bacci. «Bisogna tenere gli occhi sempre aperti – ha detto, ricordando i non pochi episodi registrati già nella nostra regione, a cominciare dall’arruolatore jihadista arrestato tre mesi fa ad Azzano Decimo – e segnalare alle forze dell’ordine quel che appare o suona sospetto.
Perchè non ci si può sentire tranquilli per il solo fatto di vivere a Udine o Pordenone. La sicurezza si costruisce tutti insieme. Il vero problema è scoprire ciò che fanno nelle loro case, davanti ai computer, quello che si dicono nei loro tanti dialetti, da chi si imbevono di ideologia.
Apprezzabile che ci invino a visitare i loro centri islamici, più difficile accettare che imam del terrore vi siano accolti come star e che alle manifestazioni di piazza per dissociarsi dal terrorismo partecipino poche persone».
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