Morto dopo il parto, tre ginecologi assolti e atti in Procura

Nell'ospedale di Latisana: la morte meno di due ore dopo la nascita, durante le manovre di rianimazione cardiopolmonare alle quali era stato sottoposto
Latisana 16 novembre 2011 ospedale Tefoto Copyright PFP/TURCO
Latisana 16 novembre 2011 ospedale Tefoto Copyright PFP/TURCO

LATISANA. Il bambino era morto meno di due ore dopo il parto, durante le manovre di rianimazione cardiopolmonare alle quali era stato sottoposto, a seguito della grave insufficienza respiratoria con cui era venuto al mondo.

Alla tragedia familiare dei genitori, in breve, si era aggiunto il calvario giudiziario dei tre ginecologi che avevano assistito al parto e che la Procura di Udine aveva ritenuto d’indagare per l’ipotesi di omicidio colposo.

Secondo il magistrato che aveva avviato l’inchiesta - il pm Maria Caterina Pace, cui è poi subentrata la collega Claudia Danelon -, la loro colpa era stata di non avere sospeso la somministrazione dell’ossitocina (il farmaco usato per incrementare l’attività contrattile uterina), pur se in presenza di un tracciato cardiografico dal quale emergeva chiaramente la presenza di valori alterati del battito cardiaco fetale.

Ieri, il gup di Udine, Roberto Venditti, ha chiuso il processo con rito abbreviato che da quell’inchiesta era scaturito, assolvendo i tre imputati «per non aver commesso il fatto». La vicenda, tuttavia, non è archiviata. La sentenza dispone infatti la trasmissione degli atti alla Procura, «per le valutazioni di eventuali responsabilità in capo ai sanitari intervenuti nella fase di rianimazione neonatale».

Proprio come aveva lasciato intendere il pm Danelon nella requisitoria, che aveva concluso con le richieste di assoluzione di una delle ginecologhe, entrata in sala operatoria a parto già cominciato, e di condanna a 1 anno 4 mesi l’uno per gli altri due medici.

A prevalere, insomma, sono state le tesi del collegio difensivo - avvocati Aldo Scalettaris, Maurizio Conti e Andrea Mondini -, che avevano ribadito il corretto operato dei ginecologi e ricordato come il bambino fosse nato vivo e le complicazioni fossero arrivate dopo, con l’insorgenza di uno pneumotorace.

Alle stesse conclusioni era approdato il perito nominato dal giudice, dottor Paolo Bogatti, di Trieste. Di tutt’altro avviso i consulenti incaricati dagli avvocati di parte civile, Luca Beorchia e Luca Driusso.

Per i professori Giampaolo Mandruzzato e Francesco Macagno, «l’incompleto rispetto delle linee guida per la rianimazione neonatale hanno determinato il mancato riconoscimento dello pneumotorace nel corso di manovre protratte con invasività, comportando il progressivo aggravamento dei problemi clinici presentati dal neonato e inducendo condizioni di irreversibilità della sofferenza al sistema nervoso centrale». (l.d.f.)

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto