Monaci vallombrosani Gli ultimi due sono friulani

Le campane hanno suonato a festa a lungo, nel santuario della Madonna di Montenero, patrona della Toscana, a Livorno. Hanno salutato due nuovi monaci benedettini vallombrosani che portano davanti all’altare due record: sono entrambi italiani – e sono gli unici dal 2015 ad oggi – e sono entrambi friulani. Se poi si vogliono aggiungere altre coincidenze, eccole: hanno professato i voti temporanei davanti all’abate generale don Giuseppe Casetta, originario di Visinale di Pasiano; sono accompagnati in questo percorso dal padre maestro don Alessandro Paradisi, già parroco del santuario della Madonna delle Grazie di Pordenone e uno degli autori della tradizionale “Lettera di Natale” dei “preti di frontiera” friulani; si sono avvicinati a questo mondo grazie a don Luca Bernardo Giustarini che è stato esorcista della diocesi di Concordia-Pordenone nonché parroco delle Grazie e ora direttore della struttura livornese.
Matteo Scarsella ha 35 anni ed è originario di Lestans. Diplomatosi all’istituto professionale Ipsia Lino Zanussi di Pordenone, dal 2002 al 2012 è stato addetto prima in un supermercato cittadino poi nel paese d’origine. «Avevo un lavoro – racconta –, stavo in famiglia, facevo vita di parrocchia e il catechista». La sua vocazione risale a dieci anni di età: «Solo nel 2012, però, entrai nella comunità del Seguito di Gesù, che comprende laici, sacerdoti e consacrati. Il mio punto di riferimento era don Davide Corba, oggi vicario episcopale della prossimità». Il confratello Federico Sacchet ha 37 anni ed è nato a Gemona del Friuli. Genitori originari di Pontebba, dopo il terremoto del 1976 si erano trasferiti a Oderzo, nel Trevigiano, dove poi sono rimasti. «Ma io ho preferito tornare in Friuli e così nel 2011 mi sono trasferito a Tarvisio, tra le valli dei miei nonni, grazie anche a una opportunità lavorativa». Prima, si era diplomato alla scuola alberghiera di Treviso ed aveva lavorato come commesso nell’Opitergino. A Camporosso, invece, faceva il barista. «La vocazione? Per la verità l’ho sempre avuta, ma l’ho trascurata per vari motivi, tanto che non ero tra i più assidui frequentatori della vita di parrocchia».
L’opportunità di intraprendere un cammino con i monaci si presenta a Federico Sacchet due anni fa. «Nel 2016 ho conosciuto a Pordenone padre Luca Bernardo Giustarini. Ho avuto un colloquio e ho deciso di intraprendere un cammino di discernimento vocazionale. Negli ultimi anni non avevo fatto un granché in parrocchia. Ero vicino, certo, ma non particolarmente attivo. Nel 2016, dunque, a seguito di quel discernimento vocazionale decisi di andare un anno a Livorno». Matteo Scarsella, invece, nel 2011 era entrato nel seminario di Pordenone cominciando la vita di comunità e gli studi teologici, «un cammino verso il sacerdozio diocesano». Nell’anno pastorale 2016-17 accettò un servizio di volontariato in una cooperativa di sostegno ai disabili: «Lì mi interrogai su che cosa il Signore mi chiamava davvero a fare. Questa esperienza, peraltro, arrivava in un periodo in cui mi sentivo insoddisfatto». Conosce don Luca Giustarini, la sua comunità. Così, il 4 agosto 2017, dopo un confronto con il suo padre spirituale, approda a Livorno, all’abbazia vallombrosana dove comincia il cammino per diventare monaco benedettino.
Il 10 ottobre scorso, entrambi i “ragazzi” friulani, hanno fatto la professione semplice temporanea, nel santuario della Madonna di Montenero. Si tratta dei voti “a tempo determinato” (per tre anni) di castità, povertà e obbedienza, davanti alla comunità monastica, all’abate generale e al popolo. Al termine del periodo, i chiamati emettono i voti definitivi, ovvero la professione solenne. Diventando monaci, hanno acquisito, conservando quello di battesimo (che in passato, invece, si perdeva), il nome monastico: Matteo è Pietro Igneo, santo vallombrosano che non ha avuto paura di affidare la vita al Signore; Federico è Michele, come l’arcangelo, compatrono della congregazione. L’ultimo monaco italiano – la congregazione ha strutture in Italia, India e Brasile – fece la professione solenne nel 2015.
La vita monastica – sono quindici i monaci a Livorno - si sviluppa in tre direzioni: «La preghiera con la comunità attraverso la Liturgia delle ore e la meditazione personale; il lavoro, secondo le necessità della giornata; il servizio, nel santuario, nella mensa e laddove vi sia necessità».
I due monaci friulani avranno tutto il tempo per pensare al loro futuro. «Non ho idee particolari, voglio vivere la vita di monastero, laddove ho trovato serenità e quindi significa che sono sulla buona strada», dice Federico Sacchet. Un discorso egoistico? «Nella vita di servizio ci si rivolge all’altro, al prossimo, che è sempre al primo posto. Aiutando l’altro aiuto me stesso. Quando i miei superiori lo decideranno, intraprenderò gli studi teologici, mentre quelli personali li porto avanti quotidianamente. È presto per pensare al sacerdozio: in famiglia sono felici della mia scelta e lo sarebbe stato, ne sono certo, anche il mio parroco di Camporosso, don Dionisio Mateucig», venuto a mancare il 30 agosto 2016 a Udine. «Entrando in monastero non si diventa automaticamente sacerdoti – spiega Matteo Scarsella – ma si intraprende il cammino del monaco, di conversione. Dopodiché si vedrà: quando progettavo ero infelice, ora mi sono affidato alla volontà del Signore». —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto