«Mio marito ucciso, mai più tragedie così»

ENEMONZO
«Chi attraversa un periodo di difficoltà può e deve essere curato, poiché, diversamente, questi è un pericolo, per sé stesso e per gli altri. Laddove la famiglia non riesce a interpretare i segnali di disagio, un medico sarà in grado di farlo».
È l’appello di Rosanna Voce, la vedova di Massimo Iussa, il vicecapo dei vigili urbani a San Giovanni Milanese che un annop fa, il 29 giugno del 2017, veniva ucciso da un collega che poi si è suicidato sparandosi.
Originario di Enemonzo, si era sin da giovane allontanato dalla Carnia, prima per studiare lettere, Iussa si è laureato con una tesi sulla Carnia invasa dai Cosacchi nella Seconda guerra mondiale. Avava fatto la naja come sottoufficiale degli alpini ad Aosta, sino a divenire vicecapo del vigili urbani di San Giovanni Milanese. Spesso ritornava con la moglie Rosanna in Carnia, a trovare lo zio Paolo Iussa, per anni primo cittadino del paese.
A un anno da quella tragedia, la moglie ricorda Massimo e ringrazia chi in Carnia è stato vicino a lei e alla famiglia. «Avrebbe potuto essere un giorno come gli altri, quel 29 giugno; Massimo era contento, come sempre del resto. Mi ha salutata con un bacio e, sorridendo, mi ha detto: “Ci vediamo stasera”. Non è stato così. Da quel giorno, tutti i giorni, contemplo, attonita, una realtà cristallizzata: mio marito non c’è più. Niente è più come prima. Ossessivamente ricompongo, in una sequenza sempre uguale, le circostanze, le situazioni, le scelte, ciascuna di per sé apparentemente ininfluente, che ,fatalmente concatenate ,ci hanno condotto verso un epilogo senza scampo. Quel giorno, non un evento di segno opposto, benchè piccolo, deviò il corso sciagurato delle cose».
Secondo la vedova di Massimo Iussa, «riflettere è doveroso, perché se è vero che il passato non si può cambiare, è necessario scongiurare il pericolo del ripetersi di tragedie come la nostra. Non si può non rendersi conto che chi attraversa un periodo di difficoltà può e deve essere curato, poiché, diversamente, questi è un pericolo, per sé stesso e per gli altri. Laddove la famiglia non riesce a interpretare i segnali di disagio, un medico sarà in grado di farlo. Quando poi le difficoltà sono vissute da uomini appartenenti alle forze dell’ordine, i controlli ai fini della sicurezza debbono essere i più accurati, poiché, diversamente, chi ha un’arma potrà rivolgerla contro se stesso e contro gli altri».
« Mio marito era bello, forte, affidabile. Era un vigile dalla testa ai piedi. Amava il suo lavoro e, consapevole di essere a servizio di una comunità, assolveva le sue mansioni con cortesia, competenza e serietà. Mio marito era un uomo utile, per la sua famiglia e per il comune di San Donato. La sua morte è stata uno spreco davanti al quale siamo annientati. Senza fiato. So che chi lo ha conosciuto, lo ricorderà con affetto e rimpianto e pregherà per lui e per noi. Io ringrazio tutti per questo». —
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