«Mina era in grado di uccidere»

FIUME VENETO. Mina Atif poteva sferrare le otto coltellate che hanno tolto la vita a suo marito, Abdelmajid Tawgui, assassinato a Fiume Veneto, nell’abitazione di famiglia. E’ quanto emerso ieri dai periti d’ufficio davanti al gip Rodolfo Piccin.
Secondo lo psichiatra Ambrogio Pennati di Milano, Mina Atif, all’epoca dei fatti, sarebbe stata in grado di intendere e volere. Il medico legale di Portogruaro Antonello Cirnelli, ha a sua volta confermato che la donna avrebbe potuto infliggere le ferite da taglio rinvenute sul corpo del marito (durante il rito islamico del lavaggio).
L’inabilità agli arti inferiori, infatti, e collegata alla grave malattia da cui è affetta la Atif, non è stata riscontrata anche agli arti superiori. Lo stadio della malattia non sarebbe stato tale da impedirle di accoltellare il coniuge. Mina avrebbe potuto impugnare il coltello e colpire suo marito. Resta da provare che l’abbia fatto. La donna, visitata poco dopo i fatti e successivamente, avrebbe risposto positivamente agli stimoli dei medici, muovendo gli arti compatibilmente con l’azione risultata mortale per il consorte 55enne.
Ad avvalorare la tesi, secondo i periti, anche le cartelle cliniche del ricovero a San Vito al Tagliamento che non avrebbero rilevato l’handicap motorio ipotizzato dalla difesa.
Nelle precedenti udienze del processo, che deve portare ad accertare la verità su un omicidio commesso il 18 giugno 2010, sono stati ascoltati il figlio minore della coppia, il medico di base della donna e l’assistente sociale che aveva seguito Mina Atif. Un contesto molto precario quello descritto dalla assistente, tanto che la marocchina avrebbe anche presentato una denuncia contro il marito, poi ritirata.
Il pm Facchin il prossimo 27 giugno esporrà le sue conclusioni davanti al giudice. Il 19 novembre, invece, sarà la volta della difesa (avvocati Luca Donadon e Paola Tanzi). Infine la sentenza.
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