«Mezza pasticca di ecstasy non vale la vostra vita»

«Il tempo per noi trapiantati è un valore: sappiamo che ne abbiamo poco e bisogna vivere ogni giorno come se fosse un capolavoro. Non sprecate un minuto della vostra vita, io per il resto della mia dovrò assumermi la responsabilità di una cavolata che ho fatto da adolescente, con mezza pastiglia di ecstasy». 17 anni, milanese, gli amici, una serata in discoteca, la voglia di trasgredire e ballare, l’ecstasy. «Ma sì, che vuoi che sia, lo faccio solo una volta». Si inizia sempre così. Poi però ne arriva un’altra e un’altra ancora e quella terza “volta” per Giorgia Benusiglio è stato il più grande schiaffo alla vita. Appena mezza pastiglia, arrivata dall’Olanda e tagliata con veleno per topi e piombo, le è bastata per arrivare in fin di vita all’ospedale con un’epatite tossica fulminante che le ha causato la necrosi del fegato. Sei ore la separavano dalla morte e poi un organo nuovo, che le è stato trapiantato con 17 ore di intervento e una successiva operazione durata altre cinque ore per ulteriori complicazioni.
Oggi Giorgia porta la sua esperienza e le sue ferite nelle scuole, incontra ragazzi e genitori, va nelle comunità e nelle carceri per raccontare quello che può provocare una scelta sbagliata, una leggerezza compiuta senza pensare alle conseguenze. Ospite all’auditorium dello Zanon davanti a centinaia di ragazzi dell’istituto nell’incontro che ha accolto anche i genitori, ieri Giorgia Benusiglio si è messa a nudo con la speranza di far passare un messaggio ai ragazzi per cui la vita è il vero sballo e non ci sono differenze tra droghe leggere e pesanti, mentre l’invito ai genitori è quello di non pensare che le droghe colpiscano sempre i figli degli altri e le famiglie disagiate.
«La mia adolescenza e la mia spensieratezza sono finite a 17 anni, mi sono giocata la libertà quel maledetto 27 ottobre – sono state le sue parole – e la prima cosa che ho pensato è stata “voglio ritornare indietro”. Non sono stata in grado di divertirmi in modo sano e sono diventata una paziente per la vita». Il trapianto - con il fegato di una ragazza di nome Alessandra, morta per un incidente stradale e che Giorgia racconta di «sentir vivere dentro» - e le cicatrici sono state solo il primo ostacolo da superare, ma per evitare il rigetto le sono state abbassate le difese immunitarie, il che la porta, oltre a dover assumere farmaci tutta la vita, a essere più soggetta a malattie e infezioni, tanto da contrarre, qualche anno dopo, un cancro alla cervice. «Me la sono cavata con altre due operazioni, si fa fatica ad accettare i cambiamenti fisici, ma le cicatrici sul corpo – spiega – sono le più semplici da superare, sono quelle dell’anima che fanno più male». «Sono l’artefice della disfatta – continua – e convivere con questo senso di colpa non è facile. Non dimenticherò mai lo sguardo di delusione e impotenza dei miei genitori che si chiedono “dove abbiamo sbagliato”, perché per ogni cosa che noi figli facciamo loro si sentono responsabili». Dopo qualche anno immersa nei sensi di colpa, con la paura di essere un’adolescente «con la data di scadenza per la durata dell’organo trapiantato», Giorgia ha deciso di reagire, di scendere e vivere il suo dolore, traendone un messaggio per i ragazzi: «Non sono nessuno per dirvi quello che dovete e non dovete fare, ma pensateci non 10 ma mille volte prima di drogarvi, per voi stessi – dice –, perché il corpo è il vostro e sarete voi a pagarne le sofferenze». Altri due lutti, poi, hanno colpito la famiglia di Giorgia: la morte del papà Bruno e quella della sorella Carlotta. «La paura paralizza, ma nella vita, tra le tante cadute la differenza la fa chi si rialza – conclude Giorgia – e non c’è niente di più figo, piuttosto che prendersi una pasticca, di sapere di essere stati utili ad altre persone, per questo vi dico scegliete di donare, uno sballo che non dura dalle tre alle sei ore, ma per tutta la vita». —
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