Medjugorje, fede, “fai da te” e il business

Seconda parte del viaggio coi friulani partiti in pellegrinaggio dopo che il vescovo di Mostar ha sconfessato le apparizioni. I Pellegrinaggi (e consumi) dall’Italia sono in calo. Il motivo? «Tutta colpa della crisi»

*INVIATO A MEDJUGORJE.

Dai 250 ai 300 euro, da quattro a sei giorni. È il costo del pacchetto medio di un pellegrinaggio a Medjugorje dal Friuli Venezia Giulia, a seconda della durata del viaggio e del luogo di soggiorno. Può comprendere la partecipazione alle apparizioni o no, la visita alle numerose strutture a fin di bene o no, ai momenti religiosi clou (apparizioni comprese), ma non prescinde dai luoghi simbolo, che sono Podbrdo, Krizevac, parrocchiale. Non essendo un fenomeno riconosciuto dalla Chiesa, le diocesi non vietano i pellegrinaggi, ma consigliano di prendervi parte con un sacerdote, una guida spirituale ufficiale e riconosciuta.

«Parafrasando il lessico politico, “finché il parlamento parla, il presidente della Repubblica tace”, così “finché la Madonna parla, la Chiesa non si esprime”», puntualizza don Andrea Vena, direttore dell’ufficio diocesano di Concordia-Pordenone per i pellegrinaggi e missionario della misericordia durante il giubileo straordinario. Ma cosa fare di fronte alla folla di gente che comunque va a Medjugorje? «La Chiesa invita le parrocchie a non organizzare pellegrinaggi, ma altresì chiede ai sacerdoti, a titolo personale, di dare disponibilità di accompagnamento qualora un gruppo ne chiedesse la presenza.

Medjugorje, apparizioni sotto esame della Chiesa e pellegrini divisi

Le persone sono libere di muoversi come meglio credono e, dato che si tratta di esperienze spirituali, è bene che il gruppo sia guidato da persone esperte, evitando di lasciare gruppi di fedeli in balia di guide improvvisate se non addirittura esaltate». La Chiesa non obbliga a credere nelle apparizioni: siano esse Fatima, Lourdes e le “presunte” di Medjugorje. «Come cristiani siamo tenuti a credere nella Madonna, la Madre di Dio, l’Immacolata, l’Assunta in Cielo: qui è richiesta la nostra adesione. Il resto è lasciato alla discrezione e sensibilità dei fedeli».

I luoghi di preghiera

Una salita tra rocce un tempo irte e oggi lisciate da tanti piedi che le hanno calpestate porta alla collina del Podbrdo, ribattezzata collina delle apparizioni. Lungo il cammino – che tutti percorrono (magari scalzi) recitando il rosario, sia di giorno sia di notte – si meditano i misteri davanti ai rilievi di bronzo di Carmelo Puzzolo. In cima, la statua bianca della Regina della Pace.

«Per i pellegrini – spiegano – la salita sulla collina delle apparizioni è un incontro con la Vergine attraverso la preghiera personale e la preghiera del rosario». Una volta scesi, ci si imbatte in mini negozi di articoli sacri, una cinquantina in questa zona della cittadina, dove vanno per la maggiore rosari, zaini, statue di tutte le dimensioni, immagini sacre. Nevena è una giovane commessa, il punto vendita è dei genitori da vent’anni. «Gli articoli – racconta – vengono prodotti da diversi artigiani alle porte di Medjugorje.

Tra i più richiesti ci sono rosari, braccialetti e statuine. Le più piccole costano 10 euro, le più grandi, un metro e mezzo di altezza, 160», con possibile sconto sino al 10 per cento. «Teniamo aperto dieci ore al giorno, la spesa media del pellegrino è diminuita col passare del tempo. Acquista molto la prima volta, poi sempre meno». Temono, i commercianti, un eventuale stop della Chiesa al fenomeno apparizioni e, di conseguenza, al business? «No, conosco i veggenti. Non abbiamo paura, non ci sarà, è tutto vero».

Tornando in paese ci si imbatte nella casa natale di Vicka dove alcuni sostengono sia concentrato lo Spirito Santo e si possa sentire. Con la mano si dovrebbe percepire un flusso d’aria fresca o calda, in uno specifico punto di una stanza. Dalla parte opposta del paese, il Krizevac. È il monte più alto di Medjugorje (520 metri sul livello del mare) sul quale, il 15 marzo 1934, a ricordo dei 1900 anni della morte di Gesù, i parrocchiani hanno costruito una croce di cemento alta 8 metri e mezzo.

Secondo la testimonianza dei veggenti, nel messaggio del 30 agosto 1984, la Vergine avrebbe detto: «Anche la Croce faceva parte del disegno di Dio quando voi l’avete costruita». Si raggiunge, ancora una volta molti a piedi nudi, meditando le 14 stazioni della Via Crucis: dall’alto si ammira la pianura dell’Erzegovina. È là sopra, lontani da qualsivoglia rumore e distrazione, che viene in mente il vangelo di Marco: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!».

Fede e business

Le apparizioni sono arrivate come una manna, per una regione che viveva di agricoltura e pascolo, nonostante importi dall’Italia del Sud frutta e verdura. Nella cintura comunale sono sorti capannoni industriali, in prossimità dei luoghi simbolo di Medjugorje, case alloggio, hotel (anche a cinque stelle, anche con spa), negozi, tabaccherie (una stecca di Marlboro costa 15 euro senza bollo dello Stato, 27 con bollo), persino sale slot. «Un operaio guadagna 400 euro al mese. Molti non ce la facevano e pertanto emigrarono, soprattutto in Germania. Piano piano stanno tornando».

Un gruppo di bambini gioca a calcio, indossando le magliette della nazionale croata: «Il passaporto croato è la nostra porta verso l’Europa, ma ci basta così, non vogliamo fare la fine vostra». Sì perché, constatano i commercianti, «si vedono sempre meno italiani: che sia causa della crisi? I pellegrinaggi (guai a parlare di viaggi “turistici”, ndr) durano meno giorni e sono meno affollati.

Aumentano, invece, le provenienze dai Paesi dell’Est, soprattutto Ucraina». Gli operatori lamentano pure l’invasione di abusivi: «Uno prende un banchetto in legno, ci mette sopra quattro statue, incassa 5 euro e se ne va con la giornata. E io che ho il negozio, invece, devo rispettare i prezzi minimi di fornitura da parte dei cinque magazzini che producono attorno a Medjugorie». Un giovane espone (al sole), accanto alle immagini della Madonna, miele di melograno, di arancia, di mandarino (3 chili, 10 euro), liquori e grappe locali: «Lasci stare – consiglia un albergatore – perché quella è acqua e zucchero». Pochi passi più avanti, la bancarella di pantofole di lana: «Misure standard, 5 euro, lana pura». Poi vedi l’etichetta made in Austria: «Ma la decorazione si fa qui», ribattono al rilievo. Ancora, braccialetti a un euro, “rosariati” 2 euro, statue in gesso o polvere di marmo: «Come ci mancano gli italiani e gli irlandesi – rinforzano i commercianti –. Erano quelli che spendevano».

Opere di bene

La classica risposta che viene data agli scettici del fenomeno Medjugorje: «Vere o no che siano le apparizioni, qui c’è tanto bene». In effetti, le strutture caritatevoli non mancano. Il Cenacolo ha portato fuori dal tunnel della droga centinaia di ragazzi (compresi quelli italiani che, alle 6, ogni giorno, vanno sul Podbrdo recitando il rosario), «con la preghiera e non con il metadone». Suor Cornelia, che parla perfettamente l’italiano, nella casa famiglia che dirige accoglie 105 orfani, perlopiù di guerra (dai 3 ai 25 anni), e 54 anziani rimasti soli.

«Non cercate persone carismatiche, ma il vostro parroco – esorta –. A Medjugorje non c’è nulla da vedere, ma tanto da sentire e poi da vivere. Pregate, pregate, pregate. La televisione vi ha fatti cadere nell’indifferenza, nella solitudine, nella tristezza: troppo benessere uccide l’essere». A Medjugorje opera pure la comunità Nuovi Orizzonti, fondata da Chiara Amirante, che interviene negli ambiti del disagio sociale, con particolare attenzione al mondo giovanile. Propone interventi innovativi e un programma di ricostruzione integrale della persona che unisce elementi psicologici, spirituali e umani. Alcuni volontari tedeschi, infine, si occupano dei cani randagi: spesso vengono adottati o sostenuti dai pellegrini.

La chiesa di San Giacomo

Il momento senza dubbio più suggestivo del pellegrinaggio a Medjugorje è quello dell’adorazione eucaristica notturna guidata dai frati francescani, durante la quale capita che alcuni pellegrini si lascino andare a episodi che alcuni definiscono del “riposo dello spirito” altri di isterica suggestione. Si svolge nella parrocchiale dedicata a San Giacomo, protettore dei pellegrini, ricostruita nel 1969 dopo il terremoto. In estate la funzione si svolge all’esterno, in un’area che contiene 5 mila persone. Davanti a un ostensorio gigante, un’ora di assoluto silenzio rotto solo da tre brevi meditazioni in più lingue e da altrettanti canti che fanno parte della “storia” di Medjugorje come “Jesus i believe” e “Emmanuel”.

La domenica sera, dopo la messa in croato (che viene tradotta via radio nelle varie lingue, basta avere uno smartphone e un paio di cuffiette), un frate impartisce la benedizione degli offetti e recita la preghiera «per la guarigione dell’anima e del corpo». Poco distante, inoltre, il crocifisso lacrimante. Per raggiungerlo occorre fare un po’ di slalom tra i mendicanti (che si spartiscono anche le zone lungo il Krizevac). Dal ginocchio del Cristo sgorga, al momento inspiegabilmente, l’acqua che i pellegrini raccolgono in fazzoletti per poi conservarla come reliquia. Usciti dalla “cintura” religiosa, la via principale di Medjugorje, costeggiata da negozi e gazebi, locali e alberghi.

Ogni movimento di masse porta con se i relativi vizi e le altrettante virtù. Tra i primi, la presenza, sebbene discreta, in alcuni locali anche del centro, delle “signorine” che svolgono il mestiere più antico del mondo.

I pellegrini: «Eppure qualcosa c’è»

Si diceva all’inizio: il più grande imbroglio della storia o un modo nuovo di manifestarsi della Madonna? Chi viene a Medjugorje lo fa per fede o per curiosità. Ma a tutti qualcosa resta. «La prima volta ci venne solo mio marito. Poi arrivò la chiamata interiore e arrivai io. Qui trovo ciò che cerco, pace e serenità», dice Maria Calligaris, di Colloredo di Montalbano. «Con mio figlio ho assistito all’apparizione e, tornati a casa, mi ha detto: mamma, la Madonna non l’ho vista, ma l’ho sentita, l’ho toccata. Quello che dice un bambino è puro».

Daniela Bortolin, di San Quirino, è al ventesimo pellegrinaggio: «Sentii la chiamata quando stavo attraversando un periodo critico al lavoro. Qui ho trovato la serenità necessaria per affrontare la vita. Agli scettici dico: venite e capirete, spiegare Medjugorje non è possibile, si deve vivere l’esperienza». Mette in guardia Emanuela Gorini, dieci volte in viaggio da Gorizia: «Non si deve arrivare con aspettative. Spesso i benefici non si scorgono subito, ci vuole del tempo, ma arrivano. Il vero cammino comincia quando si torna a casa».

Ne è convinta anche Angela Giacomin, di Prata: «Torno leggera, felice, porto dentro di me la pace». Ha celebrato il decennale a Medjugorje Luigia Pizziol, di Pordenone: «Ho chiesto tante volte grazie e le ho ottenute. Ho avuto la fortuna di incontrare la veggente Vicka, l’ho abbracciata, ho pianto con lei. Mi ha detto che prega per me, mi ha dato tanta gioia». Rientrano e «viviamo tutti i giorni Medjugorje» Loredana Rojaz e Raffaella Sirico, di Trieste: «I percorsi sono faticosi, ma una volta compiuti ci si sente liberi, leggeri». Miriam Ottogalli, di San Giorgio al Tagliamento, racconta della conversione di una giovane del paese, trasformata dal rosario di Giovanni Paolo II. Ludovica, di Prata, dei pianti di liberazione sul Krizevac. Teresa Barnaba, di Romans d’Isonzo, della grazia ricevuta per un familiare.

Tra i pellegrini, molti giovani. Come Alice Lenardon, di Portogruaro: «Non me lo spiego, ma c’è sempre la voglia di tornare. Forse perché ogni volta ci si arricchisce e si riparte meglio, nello stressante quotidiano». Marcel Gorgan, noto insegnante di danza a Pordenone e in Veneto, è tra coloro che sono rientrati delusi, la prima volta, ma che non hanno inteso demordere. «Venni quasi dieci anni fa perché cercavo qualcosa, ero partito con delle prospettive e infatti non trovai nulla. Non era ancora il momento o semplicemnte non ero pronto a sentire quello che c’era da sentire. Sentivo tutto freddo, dopo un paio di giorni me ne scappai via. Avevo vent’anni. Dieci anni dopo, oggi, non sono venuto a vedere con i miei occhi, ma con il cuore.

E Medjugorje mi dà molta energia. Mi sono accettato come sono, mi sono lasciato andare a questo mistero. Ho detto sì e mi sono abbandonato. Ritengo che il pellegrinaggio sia come una scuola, l’esame vero e proprio si fa a casa, nella vita di tutti i giorni».

Il rientro è spesso un arrivederci

Partire è un po’ morire, è l’incipit de “La canzone dell’addio”, poesia di Edmond Haracourt. E così è lasciare Medjugorje. Restano i dubbi, come quello sui bambini veggenti oggi adulti sposati, che abitano in belle villette mentre alcuni congiunti gestiscono case alloggio.

«Hanno trovato la strada di santità nel matrimonio. È un segno nuovo, poiché a partire dal XX secolo il laicato sta tornando a occupare il suo posto nella Chiesa», dice don Andrea Vena, direttore dell’ufficio pellegrinaggi della diocesi di Concordia-Pordenone. «Una grande svolta a Medjugorje – prosegue – ci sarà proprio quando usciranno di scena i veggenti. Credetemi, a Medjugorje non c’è nulla di bello da vedere. Eppure in questo nulla c’è una sorta di mistero che affascina e attrae. Ma a questo punto è doveroso lasciare alla Chiesa, madre e maestra, indicarci modi e tempi. Tutti noi, intanto, abbiamo la possibilità di compiere il nostro pellegrinaggio ogni giorno, verso la nostra chiesa parrocchiale».

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