Medico di base tra visite, panico e ignoranza: «I pazienti mi hanno rubato le mascherine»

UDINE. Cinquanta telefonate al giorno, una decina di visite a domicilio, altre ore in ambulatorio con pazienti che (uno alla volta) si presentano con le richieste più varie e anche con la febbre, nonostante le raccomandazioni.
Se possibile la giornata tipo di un medico di base udinese è diventata in questi giorni ancora più caotica e difficile a causa della “rivoluzione” del coronavirus. Chiedendo di rimanere anonima, una dottoressa della città racconta queste settimane fuori dall’ordinario.
Dottoressa, come stanno reagendo i suoi pazienti udinesi?
«Purtroppo non capiscono cosa devono fare. Sono disorientati. La maggior parte sono anziani e si comportano nei modi più diversi in questi giorni di grandi novità».
Per esempio?
«La cosa che mi ha stupito di più e mi ha anche ferito profondamente è accaduta già qualche giorno fa, all’inizio dell’emergenza. Avevo lasciato nella sala d’aspetto alcune mascherine, una cinquantina, per metterle a disposizione di chi ne avesse più bisogno. Purtroppo qualcuno me le ha rubate. E ho anche sorpreso una paziente mentre stava portando via di nascosto dallo studio una confezione di amuchina».
Cosa ne pensa?
«Sono molto delusa perché sarebbe bastato chiedermele e gliele avrei consegnate. Così come l’amuchina. Questi gesti fanno però capire quanta paura ci sia tra la gente. In questo caso si trattava di persone anziane. Temevano di non trovare le mascherine e se le sono prese».
E questo nervosismo lo avverte anche oggi o i pazienti si stanno abituando a questa situazione nuova?
«Purtroppo non si stanno abituando. Mi fanno le domande più strane, non sono informati e io cerco di spiegare a tutti come stanno le cose. Gli anziani sono i più difficili da convincere a cambiare stile di vita. Sottovalutano il pericolo».
Ci racconta uno di questi casi?
«Proprio in queste ore, per esempio, ho dovuto mettere davanti alla realtà una coppia di ultrasettantenni. Mi dicevano che è loro abitudine andare a al supermercato ogni giorno per avere sempre prodotti freschi a tavola.
Gli ho fatto osservare che in questo periodo è meglio limitare le uscite, fare provviste e andare a fare la spesa magari una volta a settimana. Non volevano sentire ragioni. Ho dovuto dirgli che alla loro età rischiavano di morire. Una risposta brusca che spero li abbia convinti».
Ma con quante persone entra in contatto ogni giorno?
«Diciamo che ricevo tra le 40 e le 50 telefonate con le domande e le richieste più varie. Molte riguardano il coronavirus, altre no. Poi vado a domicilio dai pazienti, tutti quelli che con la febbre non possono venire in ambulatorio. Prima di recarmi a casa loro, però, faccio una valutazione al telefono. Se si presenta un caso sospetto di coronavirus attivo altri canali».
Poi c’è l’ambulatorio.
«Si, mi sono organizzata facendo arrivare i pazienti ogni venti minuti. La mia segretaria regola gli ingressi nel caso qualcuno arrivasse in anticipo. In questo modo i pazienti non vengono a contatto».
Si è presentato qualcuno con la febbre senza avvertirla?
«Sì purtroppo. Per fortuna in quel momento nell’ambulatorio non c’era nessuno. Per precauzione abbiamo dovuto disinfettare tutto secondo quanto previsto. Ma mi è venuta una gran rabbia per quello che poteva eventualmente succedere ad altri malati se fossero stati presenti e se la persona che è venuta da me con la febbre fosse stata infetta».
Le è capitato qualche paziente con il coronavirus?
«Fino ad ora ho avuto soltanto un paziente al quale abbiamo fatto un tampone».
Immagino che questa battaglia quotidiana sia in qualche modo condivisa tra colleghi.
«Nel mio caso sì: abbiamo una chat dove ci confrontiamo quotidianamente. In questi giorni di emergenza ci scambiamo informazioni perché non ci sfugga niente. Siamo in tensione perché sappiamo che abbiamo un compito molto delicato. Dal punto di vista umano sono contenta perché questo è un modo per sentirci vicini, ci si aiuta».
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