Mauro Siega, lo chef a chilometro zero specializzato nella cucina di montagna

IL PERSONAGGIO
GIULIA SACCHI
La cucina è da sempre la sua passione e ora si sta specializzando nei piatti “di montagna”, realizzati con materie prime fresche e raccolte in loco. Pietanze speciali, nelle quali vengono ricreati sapori che per etica si è deciso di non utilizzare perché non a chilometro zero: niente limone, per esempio, ma una salsa di susine. No all’olio di oliva, meglio l’alternativa dell’olio di vinacciolo. Il protagonista di questa storia è lo chef maniaghese Mauro Siega. Ventiseienne, ha studiato all’istituto alberghiero Dolomieu di Longarone e poi si è messo subito ai fornelli: ha già fatto esperienza in prestigiosi ristoranti in Australia, Germania e Londra e ora è junior sous chef al St. Hubertus di San Cassiano (Bolzano), che vanta tre stelle Michelin ed è uno dei pochi locali in cui viene proposta una cucina di montagna. I cuochi, al mattino, si procurano i prodotti in natura per poi rielaborarli per ottenere i piatti in menù. Una storia di impegno, passione, sacrifici e dedizione, quella di Mauro, prova tangibile del fatto che con tenacia si possono tagliare importanti traguardi e realizzare i propri sogni. Un percorso nel quale il supporto della famiglia è stato determinante, come ha tenuto a mettere in evidenza il giovane chef. «I sacrifici portano risultati: le difficoltà che si incontrano nel lavoro e nella vita sono tante, ma l’impegno è fondamentale – ha detto Mauro –. A 20 anni ho preso le valigie e sono andato in Australia: il mio inglese era di basso livello, ma il desiderio di imparare è stato più forte di tutto». Quella agli antipodi dell’Italia è stata l’esperienza che più è rimasta impressa nel cuore di Mauro. «L’Australia mi ha aperto la mente e il modo di pensare – ha raccontato –. Ho trovato un’ospitalità incredibile, persone disponibili a dare aiuto e rapporti sani, non improntati solamente sulla competizione, come invece accade altrove».
Lo stesso non si può dire dell’avventura in Germania, anche se Mauro apprezza tutte le esperienze fatte all’estero, che hanno contribuito alla sua crescita non soltanto professionale. «L’ambiente tedesco è più chiuso – ha commentato – e in cucina c’è molta concorrenza». Quindi il percorso all’Hubertus. «Lavoro in questo ristorante da cinque stagioni e sono entusiasta – ha fatto sapere –. Una delle particolarità dei piatti che serviamo è legata all’impiego di materie prime e condimenti: non usiamo né limone, perché non prodotto in loco, né olio di oliva. Impieghiamo quello vinacciolo, che possiamo anche aromatizzare».
Il sogno di Mauro è quello di avere un ristorante tutto suo. A Maniago o all’estero? «A Maniago, se non fosse in Italia – ha ironizzato –. La mia città ha un potenziale notevole e sarebbe un sogno poter aprire un locale qui: l’Italia, però, non agevola gli imprenditori, in particolare sul fronte della tassazione». Meglio all’estero, quindi. Un’opinione condivisa da tanti altri giovani che, seppur con rammarico, decidono di lasciare lo Stivale per trovare lavoro o avviare un’attività imprenditoriale.
La fuga dei cervelli e delle professionalità, o comunque di quanti vogliono creare qualcosa di proprio senza che tradurre in realtà un sogno diventi un percorso a ostacoli, sembra un fenomeno difficile da stroncare. —
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