L’eredità del cavaliere Marco Fantoni: chi era il poeta dell’impresa friulana tra bellezza, lavoro e resilienza
Nato nel 1930, ritornò in Friuli da Venezia per guidare la ditta di famiglia. Rimise in piedi l’azienda dopo il ko del terremoto

È stato uno dei padri nobili dell’economia friulana. Un poeta del fare impresa, di quelli che, per prendere in prestito un’iperbole cara al mondo letterario, ne “nasce uno ogni cent’anni” e poi resta, nonostante il tempo che passa inesorabile, a segnare la strada ai posteri.
L’eredità del cavalier Marco Fantoni è in questo senso ancora fervida. E non solo per il cammino della sua azienda – una delle punte di diamante dell’industria regionale, irrinunciabile serbatoio di occupazione per la pedemontana gemonese –, ma anche per l’attenzione all’architettura, al modo in cui la fabbrica s’inserisce nel territorio che la circonda. Il campus Fantoni, frutto del felice incontro tra il cavaliere e l’architetto Gino Valle, perpetuato a partire dai primi anni ’60 uno stabilimento dopo l’altro, rappresenta da questo punto di vista uno degli esempi più riusciti nel panorama dell’architettura industriale nel Friuli Venezia Giulia, un’icona capace di coniugare funzionalità e bellezza, nel rispetto del paesaggio.
Ma di eredità ce n’è anche un’altra, che si può riassumere con la parola resilienza: quella che porta Fantoni a raccogliere, giovanissimo, le redini dell’impresa di famiglia dopo la scomparsa prematura dell’amato padre e poi a rimettere in piedi la fabbrica dopo il devastante sisma del 1976, battezzando sul campo, insieme a un altro indimenticabile protagonista dell’economia friulana qual è stato Andrea Pittini, il motto “prima le fabbriche, poi le case, infine le chiese”.
C’è, nella gente che vive attorno a Osoppo, a quella zona industriale nata come Ziro, poi divenuta Cipaf e infine Cosef, che proprio Fantoni tra gli altri contribuì a far nascere, una gratitudine e un affetto per “Fantoni” che difficilmente si può spiegare se non tenendo insieme quello che quel nome ha rappresentato e rappresenta: economia, lavoro, bellezza, amore e rispetto per il territorio.
Nato nel 1930, il cavaliere è stato un figlio del suo tempo. Di quella generazione d’imprenditori che nel secondo dopoguerra ha imprestato braccia e ingegno alla rinascita economica del Paese. La prematura scomparsa dei genitori, come ricordato, lo ha costretto a rientrare a casa per guidare l’azienda di famiglia, interrompendo gli studi al liceo artistico a Venezia, città che gli resterà però nel cuore, non ultimo per la frequentazione del suo amico Luciano Gemin, l’architetto che ha ristrutturato la sua casa dopo il sisma e che insieme a Carlo Scarpa ha disegnato il palazzo, già sede della Banca popolare di Gemona, che dopo anni di chiusura ieri è stato finalmente restituito all’uso, quale nuova sede del corso di laurea in Scienze motorie, intitolato nell’occasione proprio al cavalier Fantoni. Un’operazione fortemente voluta – e finanziata – dai figli Paolo e Giovanni, oggi alla guida dell’azienda di famiglia, che hanno così impresso l’ennesimo segno sul territorio, dando seguito a quella responsabilità sociale d’impresa attuata dal cavaliere quando ancora, l’attività che le aziende realizzavano per il bene comune, non aveva trovato definizione.
Palazzo Scarpa va così ad arricchire ulteriormente il lascito di Marco Fantoni alla collettività, quanto a rinfocolare la memoria della sua storia imprenditoriale, che si dispiega negli anni, dall’ingresso nell’azienda di famiglia alla fondazione della Ziro nel 1961, dai viaggi americani che lo portano a scoprire l’Mdf che poi introduce in Italia alla fondazione della Plaxil con il fratello Piero Fantoni, Federico Aita e a Giacomo Candido. E ancora dalla costruzione del nuovo mobilificio a Osoppo alla collaborazione con gli architetti Gino Valle ed Herbert Ohl che dà luogo alla Collezione Multipli, sviluppata per la Rinascente e per Zanussi, un bestseller conservato al Moma e ancora in vendita. Arrivando poi al terremoto del 1976, che distrugge completamente il sito produttivo ma non ferma Fantoni capace anche in quella circostanza di interpretare la disgrazia come opportunità: quella di “rifare meglio di prima quanto perduto”. Per arrivare agli anni dell’espansione, quelli dell’impegno nella Novolegno, nella Carnica Lavori riconvertita in Lacon e dell’acquisizione delle strutture produttive di Manzano e di Attimis.
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