Marcite e trincee a rischio abbandono
Polcenigo, interrogazione della civica Primavera: «Troppe incognite sulla gestione di un’area di grande interesse storico»

POLCENIGO. «Di chi sono le marcite a Polcenigo?». La lista civica Primavera Polcenigo non ci sta all’attendismo e presenta l’interrogazione in Comune: sul vuoto gestionale dopo la dismissione della Provincia. «Chiediamo risposte sulla situazione e la futura gestione delle proprietà della defunta Provincia nel comune di Polcenigo – hanno incalzato i consiglieri comunali di Primavera Ilario De Fort e Riccardo Bravin –. Tra le proprietà ci sono le zone delle Marcite: un’area di sicuro interesse naturalistico e storico. Non lontano si trovano i resti di trincee austroungariche». Nel passato la zona era gestita direttamente dal Parco di San Floriano: le cose cambiano.
«Non è chiaro, purtroppo – hanno considerato Bravin e De Fort – da chi siano gestite queste risorse storico-naturali. C’è il rischio che vengano completamente abbandonate, nonostante la recente riapertura del ponte che permette di attraversare le due sponde del Gorgazzo nell’oasi naturale di alto pregio». Sui terreni delle marcite c’è la Foresteria 4 che è diventata Accademia faunistica. «La civica Primavera auspica un utilizzo della Foresteria concesso a molte associazioni di Polcenigo e non soltanto quelle legate alla attività venatoria – ha concluso il consigliere De Fort –. Tanti volontari cercano una sede o un luogo per riunirsi».
La marcita è una antichissima pratica colturale, che consisteva nel fare – appunto – marcire l’ultimo taglio dell’anno sui prati con lo scopo di concimazione. «Il ristagno delle acque era il metodo naturale: tramandato da generazioni, nell’imbuto della storia passata – hanno rievocato i due consiglieri –. In particolare dall’autunno alla primavera, veniva fatto scorrere sui prati un sottile velo di acqua di risorgiva. La temperatura costante e sufficientemente elevata dell’acqua (sempre intorno ai 10° C), proteggeva la coltura dai rigori invernali. In questo modo, evitando il raffreddamento del terreno e permettendo lo sviluppo vegetativo». L’obiettivo era quello di ottenere abbondanti falciature anche nelle stagioni a rischio meteo. «La maggior parte degli impianti è stata dismessa e rimangono solo alcuni esempi attivi nel Parco di San Floriano – ha ricordato il gruppo Primavera –. Secondo alcuni storici questa pratica venne ideata dai monaci di Viboldone, nel XIII secolo, poi perfezionata dai certosini di Chiaravalle e Morimondo». Ci sono anche le “acque molli” cioè un’ampia zona umida, ricca di polle, fontanili, e piccoli laghetti tra boschetti e vecchi pascoli.
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