Manuele, l’artista del vino che rispetta i metodi naturali

GORIZIA. La vista è mozzafiato. In quel punto, le colline del Collio tendono ad avvolgere Gorizia in un abbraccio. Dietro c’è il monte Sabotino, che le protegge. Davanti scorre l’Isonzo.
I colori accesi dell’autunno, ricchi di contrasti, esaltano un paesaggio di terre difficili che costituivano il lembo tribolato del confine orientale, a lungo toccato con mano ruvida dalla Storia: conflitti, invasioni, guerre, odio, pulizie etniche, morti.
Lì si stava “come d’autunno sugli alberi le foglie”, per citare Giuseppe Ungaretti. Il luogo è Castel San Mauro, dove Manuele Mauri gestisce il podere che i nonni materni Gilberto Barnaba e Vladimira Kogoj acquistarono alla fine degli Anni ’50.
È un patrimonio composto da una prestigiosa casa padronale, che nel tempo inglobò l’antico castello, e da venticinque ettari di terreno, sei e mezzo dei quali coltivati a vigneto. Il padre di Manuele, Giancarlo, approdò a Gorizia, da Milano, per giocare ad alti livelli nella squadra di basket della Splügen Bräu, in serie A.
Si sposò con Gilberta e mise su famiglia, che rappresenta un piccolo puzzle di origini diverse: italiana, slovena, austriaca. Un melting pot di culture e lingue unite dagli affetti. Manuele conseguì il diploma al liceo scientifico e si arruolò militare: ufficiale di Cavalleria e paracadutista.
Poi, giunto di fronte al bivio della vita, non ebbe dubbi nella scelta del lavoro nei campi. Ha inizio così la storia del vignaiolo un po’ ribelle, con la passione per le sculture lignee, che non si adegua ai metodi dell’agricoltura tradizionale: «Le regole sono quelle della Natura, non del profitto».
Contro le sofisticazioni. Quali sono allora i tratti che caratterizzano il suo lavoro, a testa bassa e duro sul pezzo? Più essere che avere.
Manuele balza di scatto in piedi, sposta la sedia di legno, e stappa una bottiglia di Ribolla gialla, spumantizzata con metodo classico, che è il cavallo di battaglia dell’azienda: «Così aiutiamo il coraggio di raccontare qualcosa di diverso dal solito.
Cose semplici. È giunto il tempo di recuperare quello che abbiamo perso delle memorie dei nonni, non c’è altro da fare».
Nessun cenno di polemica verso i recenti episodi di alterazioni, o di frodi alimentari. Lui va avanti cocciuto lungo il suo percorso, quello che gli ha indicato il nonno Gilberto, maestro di vigna.
Comincia a calare le prime carte pescate dal mazzo che raccoglie la storia di vignaiolo a modo suo: «Non servono grandi cose, basta l’umiltà che si traduce nella saggezza di rispettare i ritmi della Natura e di osservare quello che accade attorno a noi.
Anche un mona è capace di spargere pillole chimiche per raccogliere quantità industriali di prodotti. Ma così si distrugge la terra. E la qualità? L’artigiano della vigna scruta, capisce e interviene per quel po’ che serve per creare l’humus in grado di fare stare bene sia i campi sia le piante.
Preme l’interruttore e accende la luce, così mette in moto l’intero meccanismo che porta la campagna a produrre quel che è sufficiente. La magia è racchiusa in un sistema che funziona da millenni».
Manuele si inoltra così nella sua narrazione appassionata, lasciandosi trascinare dalla capacità, quasi teatrale, di trasmettere le tecniche del lavoro attraverso emozioni. La premessa sembrerebbe scontata: «Bisogna ricordarsi che il vino si fa con l’uva».
Ma non lo è. Si liscia ripetutamente la folta barba rossiccia e prosegue nel suo racconto, a colpi di teatro. Le scene si spostano qua e là nei luoghi principali del palcoscenico del suo mondo: dal vigneto al grande soggiorno della casa, fino alla cantina.
Le pause servono per rabboccare i calici con le altre “creature” aziendali: Merlot, Pinot Grigio, Chardonnay.
Atto 1, gli stili di vita. Non è che una persona si sveglia al mattino e inventa un metodo assai complesso di agricoltura innovativa. Manuele Mauri è rimasto impressionato dai maltrattamenti subiti dalla Natura e ha deciso di adottare i sistemi del nonno.
Li ha semplicemente arricchiti con alcuni principi di biodinamica tratti dagli studi su Rudolf Steiner, pensatore poliedrico, filosofo ed esoterista, il quale elaborò negli anni Venti del secolo scorso alcune pratiche sulla fertilità della campagna, sulla salute delle piante e sulla qualità degli alimenti, procedendo attraverso metodi naturali.
Si è sviluppato così il suo convincimento etico impostato su quello che ritiene il concetto cardine: «Siamo ospiti della Terra, da essa dobbiamo ricavare il necessario per vivere, ma senza danneggiarla, perché fa parte dell’eredità che deve passare di generazione in generazione».
Oggi i danni sono sotto gli occhi di tutti, «ma non si vuole vederli». Manuele non ha dubbi: «La chimica porta alla desertificazione. Basta!». Si capisce che la sua è ormai diventata una scelta di vita, senza infingimenti. Adotta pratiche per lo più orientate alle fasi lunari e alle posizioni dei pianeti.
Atto 2, gestione della vigna. Le operazioni sono rigorosamente manuali, non sono ammesse deroghe dettate da emergenze: nel vino non c’è fretta. Gli “aiutini” alle piante sono naturali, nel rispetto dei principi della biodinamica. La concimazione ha l’obiettivo di rigenerare il terreno.
E, attorno a queste pratiche, il racconto si arricchisce di elementi quasi fiabeschi, che si ispirano a due prodotti: il cornoletame (detto preparato 500) e il cornosilice (preparato 501).
Manuele sintetizza concetti complessi: «Si infila il letame di bovino nel cavo di un corno di vacca e si sotterra durante l’inverno per lasciarlo fermentare. Il composto viene poi recuperato in primavera e usato per alimentare le radici delle piante.
Nel secondo caso, nel corno viene inserita polvere di silice, poi si sotterra l’impasto. Ciò che si ottiene viene diluito nell’acqua e spruzzato sulle foglie aiutando così i processi di fotosintesi».
Entrambi sono preparati che l’azienda acquista da una ditta specializzata di Cuneo: «I prezzi sono irrisori, se confrontati con quelli dei prodotti chimici». Anche per la potatura si osservano riti particolari, nel rispetto della morfologia delle viti e del ciclo vegetativo.
«Alla pianta chiedo il permesso di intervenire – spiega – sia per potare sia per tagliare il grappolo». A questo punto è il caso di sottolineare che si può vinificare efficacemente adottando metodi naturali.
Atto 3, dentro la cantina. «Lì c’è il mio regno. Sono a tu per tu con un prodotto complesso che deve soddisfare i gusti di chi lo compra, ma nello stesso tempo deve essere genuino», il racconto si fa più quieto, più riflessivo, e anche il tono della voce di Manuele gradualmente si addolcisce.
Si comprende che in queste operazioni c’è l’essenza di un lavoro fatto con passione: il ritorno alla semplicità. In cantina non deve entrarci proprio niente: «Nel bicchiere devo metterci soltanto il grappolo. Non effettuo filtraggi». È quanto messo in evidenza sulle etichette.
Anche per questo il vino che esce da Castel San Mauro è finemente più torbido, o meglio più velato, rispetto al prodotto raggiunto con altri metodi.
E incalza: «Scriva la cosa per me più importante, cioè che non utilizzo neanche il legno delle botti, perché è un materiale che provoca una pesante ingerenza sul vino, lo marchia. Allora, si prenda nota di questa parolina: NOE, che significa Nuovo Orcio Enofilo».
Un altro metodo stravagante? «Ho introdotto soltanto una piccola rivoluzione – spiega – attraverso il marmo di Aurisina che è un paese sulla costa adriatica a pochi chilometri da Gorizia. Il contenitore che uso non trasmette né assorbe nulla, è igienico, traspirante, inerte.
È anche modulare: aggiungo e tolgo elementi, secondo necessità, ognuno dei quali ha una capienza di 38 litri. Sono ritornato alla notte dei tempi. Il sistema è soltanto mio: creato e brevettato. La maturazione del vino avviene lì dentro, senza manipolazioni».
Ovviamente, applicando operazioni così curate, la quantità scende: «Non è un mio problema, perché punto esclusivamente alla qualità: la mia non è un’industria che ha bisogno di numeri alti. Io lavoro sulla fidelizzazione del consumatore».
Risultato: produce 5 mila bottiglie “firmate”, che colloca sul mercato a un prezzo di 15 euro ciascuna.
Atto 4, la madre terra. Il finale è riservato al valore del territorio. Dopo aver seguito teatralmente il suo copione, la conclusione viene da sola. Manuele scompare dalla “creazione” del suo vino, perché è implicito fin dall’inizio che il protagonista non è lui: «Dentro a un bicchiere c’è posto soltanto per uno dei due: l’Uomo o il Luogo.
Io ho scelto la strada verso la gestione in punta di piedi del vigneto e l’assenza di intromissioni nella vinificazione per concentrarmi sull’obiettivo di rinchiudere l’essenza del Luogo dentro la bottiglia, in coerenza con i valori che le ho descritto».
Questo tipo di strategia comporta l’assenza di qualsiasi riferimento personale, perché lui è semplicemente lo strumento. Per capirlo, è sufficiente sfogliare l’elegante opuscolo che illustra le caratteristiche dell’azienda: non c’è mai alcun riferimento a Manuele Mauri, neanche sulle etichette.
Protagonista è quindi la tenuta di Castel San Mauro, nel rispetto di un principio sostenuto dal genius loci, che lega la qualità del vino al paesaggio. Il prodotto finale è un tutt’uno di terra, di storia, di filosofia di vita.
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