Manager accusa la casta dei mediocri «Ci fanno fuggire»

di Stefano Polzot
Si è data sei mesi di tempo per decidere se restare in Italia o tornare all’estero. La pordenonese Carlotta De Franceschi, 33 anni, vice presidente della divisione private equity di un prestigioso istituto bancario, aveva scommesso sul nostro Paese, dopo 11 anni di lavoro tra Londra e New York. Ma le aspettative rischiano di rimanere deluse per il “cancro” che attraversa la società italiana e che spinge i giovani cervelli a emigrare: le raccomandazioni che affossano la meritocrazia, la mediocrità che ci fa rimanere nella palude di una credibilità ormai compromessa. Laureata in 3 anni e mezzo con lode alla Bocconi di Milano, master ad Harward col premio Nobel Robert Merton, per 11 anni si è occupata di grandi patrimoni tra Londra e New York per Goldman Sachs, Morgan Stanley e Credit Suisse.
Che esperienza è stata?
«Fantastica, mi sono trovata benissimo perché il merito valeva sopra ogni cosa. I manager tenevano molto alla cultura della banca e alle persone che vi lavoravano».
Cosa significa tutto ciò?
«Vuol dire che per una giovane di 26 anni come me, è stato sufficiente alzare la mano e proporre una buona idea per essere affiancata dai vertici aziendali in un progetto di investimento di alcuni miliardi di euro. Se lo meriti, la tua carriera è molto veloce, nessuno ti chiede all’inizio di fare le fotocopie, ma ti mettono alla prova sul campo».
Cosa l’ha spinta a rientrare in Italia nel febbraio scorso?
«Mi mancava l’Italia e per questo ho deciso di accettare l’offerta di un posto di vice president a Milano. Purtroppo il primo bilancio è negativo».
Perché?
«Non c’è etica sul lavoro, etica in senso lato, direi anche moralità. La meritocrazia non è un concetto scontato e così la trasparenza. Prevalgono i mediocri, i raccomandati e assisto a un esodo pazzesco di giovani intelligenze che se ne vanno all’estero. Tra i miei coetanei vedo tanta rassegnazione, le gerarchie sono dominate dall’anzianità, non dal merito. Tutto ciò è veramente demotivante».
Il nostro è un Paese in declino?
«Rischia il declino, eppure ci sono persone straordinarie. Nel mio lavoro ho l’opportunità di conoscere molti imprenditori del Nordest e sono straordinari, dei veri guerrieri. Se il sistema è ancora in piedi lo si deve a loro».
Cosa dovrebbe cambiare secondo lei?
«In primo luogo manca una politica industriale. Nel ’99 Telecom Italia era il sesto operatore mondiale, oggi il 66°. Poi è necessario cambiare le leggi sul lavoro e sul diritto industriale. In terzo luogo bisognerebbe proiettare modelli positivi, dagli imprenditori ai professori di successo. Invece sulle prima pagine ci sono veline e calciatori».
Non crede che questo sia un Paese gerontocratico?
«All’estero non si mette l’età nei curriculum e non si fanno discriminazioni di sesso come avviene in Italia. Qui l’anzianità è un fattore rilevante e invece non dovrebbe essere così. Il risultato è che le gerarchie aziendali sono ingessate e i giovani che vogliono emergere non possono farlo. Senza contare come viene ritratta la donna nei media: non si tratta di essere femministe, ma siamo veramente al ridicolo».
Qual è l’immagine dell’Italia all’estero?
«Pessima, siamo derisi. A Londra ci sono fondi di investimento che escludono l’Italia perché è un Paese corrotto. Ci tacciano di inaffidabilità, quando invece abbiamo ottime aziende e imprenditori eccezionali».
Se fosse al Governo cosa farebbe?
«Lancerei una sfida. Abbiamo tante intelligenze giovani, chiediamo loro di lavorare per un anno, gratis, al ministero dello Sviluppo economico. Invece i giovani si mettono al bando, costretti a vivacchiare con contratti precari».
Cosa le dicono i suoi colleghi che sono rimasti all’estero?
«Non capiscono perché sono tornata. Il problema dell’Italia non è il debito pubblico, ma la credibilità».
Pensa prima o poi di prendere un aereo sola andata verso Londra o New York?
«Mi sono data sei mesi di tempo. Vedremo se cambia qualcosa. Siamo in una stagione nella quale non si può pensare solo alla propria convenienza personale, bisogna dare una mano alla collettività. Ma se alla fine rimane il muro eretto dalla casta della mediocrità, non solo in politica, non c’è nulla da fare».
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