Magnano in Riviera, le urla nelle case accartocciate dopo il terremoto

L’ex sindaco Miotti ripercorre quella notte: la terra tremava e si faticava a stare in piedi. Scomparvero i borghi Cignini e Canci

MAGNANO IN RIVIERA. La sera del 6 maggio 1976 il capogruppo di maggioranza, Bruno Miotti, segretario dell’allora presidente della Provincia, Vinicio Turello, era a Udine. Avrebbe dovuto partecipare alla riunione del Comitato provinciale della Dc per ragionare sulla scelta dei candidati alle ormai prossime elezioni politiche.

La scossa avvertita seppur in tono minore anche a Udine costrinse il partito a rinviare la seduta e Miotti partì per Magnano in Riviera, il paese dove aveva la casa e dove, l’anno prima, era stato eletto nelle file della Dc. La prima tappa fu Bueriis. Miotti trovò la gente in piazza, era impaurita, ma qui erano tutti vivi e questo tranquillizzò l’amministratore.

Alzò lo sguardo verso borgo Zurini, dove aveva la casa, vide gli edifici implosi, si erano accartocciati a terra come se le pareti fossero state di carta. Proseguì. Lasciò l’auto in cima alla salita della Vidinance e andò casa per casa a piedi.

«Nella corte dei Felcher - racconta - vidi una donna con una coperta addosso e tutto attorno solo edifici crollati». La signora aveva la paura stampata sul volto e quell’espressione fece pensare a Miotti che a Magnano la situazione poteva essere più disastrosa. Non aveva torto. Gli bastò superare il passaggio a livello e imboccare via Marconi per trovare la strada ostruita dai massi e dalle macerie.

«Sentivo - aggiunge - la gente gridare, urlare». Prima di arrivare in piazza Urli, incontrò il sindaco Romeo Piccoli, «mi disse - continua - che era crollata la chiesa e mi parlò del gran disastro di Magnano. Due borghi Cignini e Canci erano sostanzialmente spariti. La botta lì era stata tremenda, 39 i morti».

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Fatto il punto, Miotti e Piccoli chiesero aiuto ai militari e alla Croce rossa, avevano bisogno di gente per liberare i feriti rimasti intrappolati sotto le macerie. Miotti si guardò intorno e vide un groviglio di «pali della luce crollati. Di fronte alla Chiesa, sulla sinistra, dopo il municipio, le case erano tutte cadute».

Impossibile dimenticare quelle scene rimaste impresse nella sua memoria. E come in un film, 40 anni dopo, la pellicola ha ripreso a girare. Le immagini ci riportano a quella terribile notte. «Lascia Romeo e tornai verso l’auto. La cosa peggiore - fa notare Miotti - era scendere dall’auto. Come mettevo i piedi a terra sentivo tremare e per evitare di cadere dovevo tenermi alla portiera».

Il consigliere comunale lasciò Magnano e imboccò la strada statale. «All’altezza del ristorante Morena - queste le sue parole - sentii gridare, il locale era crollata e sotto le macerie era rimasto il vecchio proprietari. I soccorritori cercavano di tirarlo fuori, lavoravano al buio e senza mezzi. Con i fari dell’auto illuminai la zona fino quasi a scaricare la batteria. Arrivarono i militari, poco dopo lo trovarono morto. Il figlio si salvò, ma i traumi lo segnarono per sempre condannandolo alla carrozzina».

Le ore passavano e Miotti proseguiva il suo giro di ricognizione passando per Colloredo. «Lì era tutto un disastro, il castello era crollato e i sassi avevano chiuso la strada. Con fatica spostavo i massi per riuscire a proseguire».

Arrivò l’alba. Qualche ora dopo, Miotti andò a palazzo Belgrado e anche qui fece il punto con il presidente della Provincia Turello. Contattò gli assessori da Giovanni Battista Metus di Majano a Mario Mattia di Artegna, Toffoletti di Faedis e il carnico Diego Carpenedo. Ma il suo pensiero era sempre rivolto a Magnano.

Nel comune dove anche il castello di Prampero era mezzo crollato tornò nel pomeriggio e accompagnò il sindaco in quella che fu «la più brutta circostanza in cui può trovarsi una persona. Lo accompagnai in cimitero dove il dipendente dell’Anagrafe, Domenico Ridolfi, cercava di riconoscere le salme. Le identificammo prima di seppellirle nella fossa comune».

Fu terribile. Altrettanto terribile fu vedere, un mese dopo, partire da Gemona l’esercito austriaco arrivato nelle ore immediatamente successive al sisma. Dietro di loro i militari lasciavano «il deserto bianco e l’acre odore della calce viva sparsa all’interno della zona recintata dove avevano demolito tutto. Era, lo ripeto, un deserto bianco».
 

A palazzo Belgrado. Il 7 maggio, nel Friuli disastrato, giunsero immediatamente l’onorevole Francesco Cossiga, allora ministro dell’Interno, accompagnato dal capo di gabinetto, l’avvocato cagliaritano Zanda Loy, padre dell’attuale senatore Zanda, capogruppo del Pd al Senato. «Moro li mandò su con il primo aereo» aggiunge Miotti che, 40 anni fa, cedette il suo tavolo da lavoro a Zanda Loy, mentre Cossiga si accomodava nell’ufficio di Turello.

Arrivarono il presidente della Regione, Antonio Comelli, il prefetto Domenico Spaziante e uno a uno i tanti comandanti delle forze armate. «La sala giunta diventò un centro operativo in cui si tenevano le riunioni, in fondo Comelli la conosceva bene, prima di diventare presidente della Regione era stato assessore provinciale all’Agricoltura».

A impressionare Miotti, però, fu «la tempestività e la capacità di Cossiga. Sapeva dove schiacciare i bottoni. In un giorno riuscì a organizzare la fase dell’emergenza». La sera, finita quella lunghissima giornata, «saranno state le 23, Turello invitò Cossiga a mangiare un boccone. E senza tanti problemi di sicurezza andammo “Al Parco” a Tavagnacco dove apprezzammo gli asparagi con le uova. Siamo andati come persone comuni, senza tanti problemi».

Poi arrivò il presidente della Repubblica, Giovanni Leone e, il 14 maggio, pure il vice presidente degli Usa, Nelson Rockefeller, con il ministro degli Esteri, Mariano Rumor. La moglie e i figli di Rockefeller, alcuni anni dopo, tornarono a Magnano per l’intitolazione del centro anziani al marito.

A questo punto Miotti ricorda le persone, compresi gli assessori e i consiglieri che pur avendo subìto gravi lutti in famiglia non fecero mancare il loro impegno nell’emergenza. «Romeo Piccoli era un sindaco dal gran cuore, nessuno di noi era preparato a questa tragedia tanto meno il Comune di Magnano che aveva due dipendenti».

«Preziosa fu l’opera dell'assessore ai Lavori pubblici, Giovanni Battista Vidoni che si dimostrò saggio e costruttivo nell’organizzazione di una struttura dedicata. Lo stesso fece Michelizza Paolo, l’assessore nominato presidente della commissione, prevista dalla legge 17, che esaminava i progetti e forniva proposte sui finanziamenti. Lavorò con saggezza e concretezza. Ricordo l’assessore Franca Forabosco e il consigliere Carlo Pezzetta, con una forza morale grandissima lavorarono giorno e notte. Lo stesso facevano i consiglieri di maggioranza e opposizione. Le sedute dei consigli venivano convocate di notte, si discuteva per ore, ma alla fine, per il bene della comunità, trovavamo sempre un accordo».
 

Il lavoro e la solidarietà. Miotti si sofferma anche sull’opera svolta dai parroci: «Don Secondo Miconi, era arrivato nel 1971 con qualche contestazione perché si attendevano altre persone, fu un grande prete. Visse la prima parte dell’emergenza “con il Santissimo sacramento” diceva perché stava in roulotte.

Ripeteva: “Siamo in due nella roulotte”. Lo stesso fece il parroco di Billerio, don Egidio Del Pin. Con tante fatiche, ricostruì completamente la Chiesa. A Bueriis c’era don Gino Paolini, il terremoto distrusse la canonica e lui con la madre si trasferì a Udine continuando a seguire Bueriis fino al 1978.

In quell’anno arrivò don Mario Broccolo che completò la ricostruzione». Miotti non dimentica di ricordare il medico condotto Giandaniele Fabiani, che portò i primi aiuti ai feriti e vaccinò la popolazione nelle tende. Impossibile citare tutti coloro che aiutarono la gente di Magnano.

«A iniziare dalle gemellate diocesi di Aosta con Magnano, Lodi con Billerio, Taranto con Bueriis. Ma anche l’opera della Confraternita italiana e austriaca, l’insostituibile presenza delle monache Giuseppine di Aosta e di Pinerolo». Avevano risposto all’appello lanciato dal presidente nazionale della Caritas, monsignor Motolese: ogni diocesi “adotti” una chiesa friulana.

Miotti cita anche i 7 mila 450 giorni dedicati dagli alpini in congedo delle cernide di Vicenza, Asiago, Marostica, Bassano del Grappa, Padova, Venezia, Valdobbiadene e Aosta. «Uomini - commenta Miotti - di tutti i ceti, di tutte le professioni, qualificazioni e mestieri, di tutte le età, che si inventarono l’adeguata fuori ordinanza “cun te, par te, fradi furlan”».

A Magnano come altrove, gli alpini realizzarono le ristrutturazioni previste dalla legge 17. Uno sforzo cancellato dal terremoto del 15 settembre. Oltre alle case, a Magnano crollarono pure il municipio e le scuole. Ma anche in questo caso gli aiuti non mancarono.

La Cri nazionale donò la scuola materna di Magnano, quella austriaca fece lo stesso a Bueriis. La comunità di Saronno riparò il polo scolastico e costruì la palestra a Magnano. Il console di Francia recapitò il prefabbricato della scuola elementare di Magnano, in attesa della ricostruzione.

Senza contare che nell’autunno del 1976 e nella primavera dell’anno successivo la Provincia, per garantire la continuità scolastica, costruì 800 aule nei prefabbricati in legno. Tutto questo mentre la gente andava e veniva da Lignano. «Ci fu - conclude Miotti - una grande forza morale».
 

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