Magazzini del lavoratore Crac, due patteggiamenti

Per mezzo secolo i Magazzini del lavoratore hanno vestito intere generazioni di pordenonesi della classe media. Poi la Mdl srl si è ritrovata a fronteggiare la crisi del settore della moda, causata dalla contrazione dei consumi. L’azienda è fallita il 13 giugno 2014. Dinanzi al gup Monica Biasutti l’epilogo della vicenda giudiziaria che ha coinvolto i due soci titolari.
Prima del fallimento, per salvare l’attività e i posti di lavoro, gli amministratori avevano tentato la strada del concordato preventivo in continuità, al quale erano stati ammessi. Gli stessi creditori avevano valutato positivamente il piano, che alla famiglia al timone di Mdl (Alvaro Piccinin e la moglie Sara Rosset) era costato molto, in termini di sforzi economici. Nel piano era stata presentata una richiesta di rateazione decennale del debito a Equitalia, nelle modalità previste per legge. Rosset e Piccinin avevano garantito personalmente, con alcuni immobili di proprietà della famiglia, la dilazione del debito.
Poi la doccia fredda. In una lettera aperta al Messaggero Veneto, pubblicata il 14 giugno 2014 su queste pagine, all’indomani della dichiarazione del fallimento, Rosset e Piccinin avevano spiegato che Equitalia aveva bocciato la dilazione del debito. Così i titolari della società non avevano avuto altra scelta che portare i libri contabili in tribunale e chiedere l’autofallimento.
Lo storico magazzino in piazza Duca d’Aosta aveva chiuso le serrande. Era stato nominato un curatore fallimentare, Andrea Zanotti e in seguito aperto un procedimento penale per bancarotta. Arriviamo così ai giorni nostri e al procedimento per bancarotta conclusosi dinanzi al gup.
La Procura ha contestato una distrazione minimale di fondi dell’azienda, appena ottomila euro, peraltro di prelievi utilizzati per pagare delle cause con alcune banche. Un importo talmente esiguo che alla coppia di coniugi, soci titolari della Mdl, è stata riconosciuta l’attenuante della speciale tenuità del danno.
Basti pensare che la pena minima, in caso di bancarotta distrattiva, parte da un anno e quattro mesi. Piccinin e Rosset hanno patteggiato, invece, dieci mesi di reclusione, con la sospensione della pena. Resta, nei titoli di coda, una nota di amarezza mista a rimpianto. La stessa che traspariva da quella lettera, quattro anni fa: forse quell’azienda avrebbe potuto essere salvata.
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