Maestro di cesello artista e tifoso: orafo da 50 anni

In via del Gelso Adalberto Szulin tramanda arte e storie Dalla scuola di Pio Galliussi al regalo con dedica per Zico
Di Paolo Medeossi
Udine 01 Marzo 2016 adalberto szulin Petrussi Foto Turco Massimo
Udine 01 Marzo 2016 adalberto szulin Petrussi Foto Turco Massimo

PAOLO MEDEOSSI. Questa storia ha inizio in via del Monte, stradina strategica perché rappresenta l’ombelico dell’universo udinese. Lì tante vicende si intrecciano e non per niente a un quarto piano abitò a lungo Renzo Valente che scrisse una sorta di simpatico poema sulle decine di metri confluenti in piazza San Giacomo.

C’erano il nobile Paderni che suonava il clarino, l’avvocato Sirica, i conti Valentinis, il sior Rico Sturolo con le sue marionette, Facanapa in testa. Un piccolo mondo antico che rivive appena si riaprono le pagine di “Rensuti” dedicate al paese con il tram. E lì, al numero 2, c’era il laboratorio di Pio Galliussi, orafo e incisore sopraffino, capace di continuare la tradizione friulana ottocentesca fino agli anni Cinquanta quando (come racconta Gabriella Bucco) il settore venne innovato da Dino Basadella, uno dei celebri fratelli.

Galliussi aprì la sua angusta bottega nei locali del vecchio laboratorio Torrelazzi, nome significativo in quest’arte che a Udine e in Friuli può proporre una storia d’eccellenza, come avvenne per esempio in una mostra del 2008 grazie alla collezione messa insieme dal professor Gaetano Perusini. Sono tanti i protagonisti di spicco: Valentino Brisighelli, la famiglia Santi, Tita Grassi, Italico Ronzoni, gli Scrosoppi...

A introdurre una parziale modernizzazione fu proprio Galliussi, ma la rottura definitiva rispetto alla tradizione avvenne con Basaldella che rivoluzionò il lavoro degli orafi, prima disegnatori ed esecutori dei monili, commercianti e artigiani. Con Dino l’artista ribadì il preminente ruolo creativo quale autore di pezzi unici.

Questa premessa è necessaria per capire il senso vero della nostra storia. Allora, torniamo in via del Monte 2 dove nel 1952 arriva un ragazzetto quattordicenne, Adalberto Szulin. Il papà Toni è un bravo ebanista e la sua famiglia viene da Nespoledo di Lestizza, paese originario di una famosa dinastia udinese, quella dei birrai Moretti. Il cognome potrebbe far pensare (come accade ancora) a qualche affinità con l’estero, soprattutto l’Ungheria, invece si tratta di una rielaborazione di quello autentico dovuto a un errore compiuto all’anagrafe.

Papà Toni è amico dell’orafo Galliussi, che nella sua bottega istruisce giovani di talento in questo lavoro affascinante (come Leo Zoratti, Jannis, Stene, Lodolo) e decide di provare con Adalberto il quale rivela di avere la stoffa, ma il maestro lo invita a non lasciare gli studi e lo fa iscrivere alle serali del Malignani, che aveva la sede in via Manzoni. Comincia così l’avventura tra professione e passione d’un artigiano rimasto sempre fedele alla lezione di Galliussi. Alla sua scomparsa, nel 1961, ne rilevò il laboratorio di via del Monte ampliando l’attività e coinvolgendo anche il fratello Giorgio, titolare in seguito della gioielleria in largo dei Pecile.

L’approdo di Adalberto nell’attuale negozio in via del Gelso avvenne nel 1965, in dicembre, e un evento così importante per la famiglia Szulin è stato festeggiato di recente per il cinquantesimo anniversario, tappa in cui fare il punto e poi proseguire il cammino con l’impegno e la bravura di sempre.

La gioielleria è situata all’ingresso della galleria Astra che racchiude un altro pezzo di storia udinese. Questo fu il primo grattacielo in città. Venne costruito su dieci piani nel 1950 quale segnale di progresso, speranza e ottimismo dopo la guerra. Sulla terrazza c’era il Mokambo club, un dancing che donava nelle notti estive una visione splendida dei dintorni. Il palazzo trovò spazio in una strada completamente nuova, appunto via del Gelso, e di vecchio era rimasto solo il nome, dedicato a un antico “morarat”. Qui dunque Adalberto si radicò mettendoci abilità e sacrificio per far crescere il negozio-laboratorio. Il lunedì girava in regione per acquisire lavoro e clienti.

Il resto dei giorni e delle notti lo trascorreva al banco, dove tuttora è affiancato dalla moglie Gianna, dalla figlia Antonella, dal nipote Alessandro. Per i risultati ottenuti, ha ricevuto nel tempo più riconoscimenti, come l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. Traguardi e momenti non hanno modificato il significato della sua arte, affidata alle mani e al bulino con cui incide e inventa con cura assoluta del disegno. C’è il lavoro su commissione, ma anche quello nato da un guizzo creativo. Sono tanti gli esempi, come gli eleganti bastoni da passeggio, frutto di un’abilità ormai rara nell’uso del cesello. E allora si capisce che i “segreti di bottega” elargiti da Galliussi hanno trovato un erede affidabilissimo, che conserva pure gelosamente gli album con i disegni del maestro, galleria di intarsi e arabeschi, stilizzati e perfetti.

Adalberto Szulin parla con gentilezza e parsimonia di tutto ciò, ma è una miniera potenziale tra aneddoti e personaggi, incontrati nella sua gioielleria in oltre 50 anni. Ci scherza un po’ conversando con Franco Della Rossa, il consigliere comunale di cui era compagno di scuola. La privacy non permette, come ovvio, di svelare troppo, a parte una chicca calcistica. Anche negli anni Ottanta l’Udinese faceva i ritiri all’hotel Astoria, situato dall’altra parte della galleria Astra, e nel negozio di Szulin si affacciavano i giocatori, come Edinho o il sommo Zico. A quest’ultimo il maestro orafo donò nel 1985 un piatto d’argento con inciso il suo ritratto. Glielo diede proprio l’ultimo giorno, quando Zico decise di di lasciare l’Italia. Un ricordo di Udine, un gesto gentile dopo trionfi e amarezze.

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