L’Oscar italiano ha radici a Sacile LA CERIMONIA

Il film «La grande bellezza» di Paolo Sorrentino che ha conquistato la mitica statuetta a Los Angeles è stato prodotto dalla Indigo Film, di cui è socia Francesca Cima, nata nella cittadina sul Livenza. Nel cast anche un'attrice goriziana
Toni Servillo, left, and Paolo Sorrentino accept the award for best foreign language film of the year for “The Great Beauty” during the Oscars at the Dolby Theatre on Sunday, March 2, 2014, in Los Angeles. (Photo by John Shearer/Invision/AP)
Toni Servillo, left, and Paolo Sorrentino accept the award for best foreign language film of the year for “The Great Beauty” during the Oscars at the Dolby Theatre on Sunday, March 2, 2014, in Los Angeles. (Photo by John Shearer/Invision/AP)

PORDENONE. L’Oscar vinto dal film «La grande bellezza» di Paolo Sorrentino ha radici anche a Sacile. Infatti, Francesca Cima, ata nella città sul Livenza, è uno dei soci (gli altri sono Nicola Giuliano e Calotta Calori) della Indigo Film che ha prodotto la pellicola che ha conquistato la statuetta tanto ambita.

E c’è anche Gorizia nel film: è goriziana infatti l’attrice Anita Kravos, che è il nome d’arte di Antonella Cerminara, nata a Trieste nel 1974, a tre anni si è trasferita prima a Savogna d’Isonzo e poi a Gorizia dove ha frequentato il liceo linguistico Paolino d’Aquileia.

Laureata in lingue straniere Kravos-Cerminara ne parla correttamente sei: sloveno, inglese, tedesco, russo, francese. Oltre all’italiano.

Di seguito l’intervista che la produttrice Francesca Cima ha rilasciato a Gian Paolo Polesini una decina di giorni fa.

L’Oscar? «Già così è fantastico. Un Golden, i Bafta, una Nomination, aggiungiamoci pure l’European Awards, i Nastri, insomma, un trionfo ovunque».

Francesca è donna friulana, influenzata dalle tante stagioni romane, certo, ma vola col giudizio tipico della terra, quello necessario a godersi l’attimo senza rischi.

La signora della "Indigo Film" - divide la società di produzione con Nicola Giuliano e Carlotta Calori - di scommesse in compagnia degli amici ne ha fatte parecchie; a ora, nessuna persa.

Qualche titolo, oltre ai sorrentiniani? Apnea, La ragazza del lago, La doppia ora, La bocca del lupo, Il gioiellino, Il Divo, La dolce nave e l’ultimo di Salvatores, ancora in divenire, Il ragazzo invisibile.

Con Sorrentino, poi, fu affinità immediata, dal 2001 con L’Uomo in più, opera prima.

«Noi e Paolo non ci siamo mai lasciati, trovando sempre la condivisione con qualunque progetto. Fino a La grande bellezza, progetto sposato con l’entusiasmo familiare di chi si conosce perfettamente. Ci incuriosiva il suo sguardo napoletano su Roma, ben sapendo che sarebbe stato unico».

Cima è di Sacile. Il marchio è appiccicato addosso e i ritorni sono frequenti.

«Il senso di casa non t’abbandona, specialmente se i punti fissi diventano altri. Mia madre, il ricordo di papà Luigi, un grand’uomo. Mi insegnò a non avere mai paura. Nel mestiere mio convivi col timore di un fallimento, se ogni volta ti fai sconfiggere dal dubbio, resti dove sei. "Provaci", diceva. Come fece lui, d’altronde, un piccolo imprenditore del Nord-Est, che arrivò dove voleva, seppure partito dal niente».

A Cannes zero tituli per «La grande bellezza». Si disse: strano davvero. La Francia è in solluchero quando rimesta il cinema italiano colto.

Standing ovation per Il Divo (prodotto Indigo Film, ovviamente) soltanto applausi normali per il Sorrentino felliniano.

Conferma Francesca: «Neppure nelle sale francesi è stata una pellicola osannata, al contrario di Olanda, Romania, Ungheria, Inghilterra, Germania, Italia, certo, incassi super ovunque meno che a Parigi. È opera perfetta per il mercato estero, istiga lo straniero, innamorato cronico del bel paese, a rivedere i parametri di un affetto antico secondo le nuove leggi. Il bello dell’arte continua nell’incanto, è semmai l’uomo ad aver perso il fascino».

Però pensi. Rieccoci sul trono grazie a una sorta di sistema Fellini, che riuscì nei Cinquanta a trascinare il mondo cinematografico dalla nostra.

Nel sogno intercetti il reale. La dolce vita continua sulle terrazze, via Veneto non è più la stessa, c’è un velo di tristezza che copre tutto.

«Non sappiamo valorizzare la nostra cultura; il dramma è questo, credo. Il caso Pompei è illuminante. I resti si sbriciolano e noi stiamo a guardare, mentre il British Museum allestisce una mostra con 150 pezzi e si ritrova code chilometriche fuori il portone. Capisce dove sta la differenza? Non solo, i britannici s’inventano pure un documentario diventato cult in un battibaleno. Stiamo morendo per incapacità di azione, avendo, tra l’altro, la scorta più sostanziosa del pianeta».

Andiamo al sodo, Francesca Cima. Lei, in pratica, è quella che caccia il denaro.

Quanto vale La grande bellezza? «Otto milioni di euro. Non è stato un costo stellare per un prodotto così ricco. Sopra la media dei due per un film italiano medio e il doppio dei quattro per uno d’autore. Vorrei farvi capire il senso del lavoro di fino. Scena corale della prima festa: abbiamo analizzato migliaia di soggetti, tutti fotografati e tutti provati sul campo; soltanto alla fine di questa raccolta pazzesca sono usciti i prescelti. Non è la comparsa per caso. Sorrentino è così, vuole il massimo. Eppure fra noi mai un’incomprensione. Dall’inizio, con lui, è stata una passeggiata armonica».

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