"Lo Stato non ci ha aiutato": Covid e troppe tasse fanno chiudere il ristorante da Gemma e l’ortofrutta Rigo

PORDENONE. Gemma Polese e Gianni Rigo non immaginano il loro futuro senza ortofrutta e ristorante in viale Venezia, a pochi passi dall’Electrolux. Eppure il caratteristico striscione “Qui si mangia bene” per il momento è riposto in magazzino. Serrande abbassate dal 12 marzo scorso, ovvero dall’imposizione del lockdown. «Al momento non ci sono prospettive, gli aiuti promessi non sono arrivati, mentre le bollette e le tasse, quelle sì sono state puntuali. Se il Governo darà una mano concreta riapriremo».
Gianni Rigo, 76 anni, abita sopra il locale, le cui insegne sono spente e i locali sono smobilitati. Sceso da Dardago oltre quarant’anni fa, assieme a Gemma Polese aveva fatto di quel sito un punto di riferimento per pordenonesi e no.
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Partiti col mercato di ortofrutta soprattutto in città e a Sacile, avevano acquistato una casetta crollata che è stata trasformata in gioiello dell’enogastronomia. Prima l’ortofrutta, poi i salumi tipici del Friuli e del Veneto, poi l’anguria – chi non ne ha mangiata una fetta d’estate, in giardino –, poi il ristorante, una quindicina d’anni fa, con le grigliate anche d’asporto.
A rovinare tutto ci ha pensato il coronavirus. «Per colpa sua il 12 marzo abbiamo chiuso. La nostra intenzione era di riaprire presto, ma lo Stato tanto ha promesso e nulla ha dato, nemmeno i famigerati 25 mila euro». In cassa sono entrati 3 mila 600 euro «erogati dall’Agenzia delle entrate col decreto Cura Italia». I dipendenti hanno preso la cassa integrazione, un paio se ne sono andati. «Ma le bollette sono arrivate puntualmente. Per fare ripartire l’azienda, zero soldi. Non abbiamo più riaperto e sarà difficile che ciò avvenga senza un sostegno economico. Schiacciati dalle tasse, in attesa di un aiuto che non arriva».
L’ortofrutta di viale Venezia è stato un pioniere nel settore: «Non c’erano supermercati, solo Malvani, dove oggi c’è Conad. Arrivavo con i camion di frutta e verdura ogni giorno dall’Emilia Romagna, dall’Alto Adige, persino dalla Sicilia e dalla Calabria. E poi le angurie, che si consumavano la sera. Dopo i salumi, qualcuno cominciò a chiedere: e uno spaghettino, perché no? Ed è arrivato il ristorante».
Gianni Rigo ce l’ha con lo Stato: «Mi ha imposto di chiudere». In questo periodo, racconta, si è affacciato più di un compratore, «ma nonostante l’età mi sento ancora attivo. Intendo aspettare e vedere cosa succede, prima di prendere qualsiasi decisione in un senso o in un altro». E poi una confidenza: «Sono stato male, sa, in questi mesi. Ero seduto in giardino ad aspettare che qualcosa cambiasse quando sono stato colto da malore e portato in ospedale. Sono convinto che la causa sia il grande dispiacere che ho avuto e ho nel vedere una mia creatura ferma e chiusa: per costruirla ho fatto sacrifici disumani».
C’era un programma di ulteriore ampliamento dell’attività. Cinque stanze per aggiungere a ortofrutta e ristorante un bed and breakfast. «Mi arrendo per la situazione generale, il progetto resta nel cassetto dei sogni». Con una soddisfazione: «I pordenonesi ci hanno voluto bene, i clienti che arrivavano dal centro erano i migliori. Sono stato ripagato dello sforzo fatto».
Anche Gemma Polese, fondatrice del ristorante, è fiduciosa che possano tornare tempi migliori. «La chiusura ci è costata un sacco, ripartire è molto più oneroso di quel che si pensi. Non c’è una data, non potrà esserci sino a quando non arriverà un aiuto concreto da parte dello Stato». Una donna innamorata del suo lavoro, «nonostante l’età mi do ancora da fare eh», che spera di rivedere presto i suoi clienti.
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