Lo scandalo si allarga: è indagato tutto il Cda

SAN GIORGIO DI NOGARO. Invece di persuadere gli inquirenti della loro innocenza e di aprirsi così la strada all’auspicata archiviazione, con i loro interrogatori Marzio Serena e Cesare Strisino, nelle rispettive qualità di ex direttore e di ex presidente del Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa Corno, li hanno convinti a estendere l’accusa di malversazione ai danni dello Stato per quasi 11 milioni di euro anche ai componenti del Consiglio d’amministrazione in carica nel triennio 2008-2011. A stracciare, insomma, il capo d’imputazione con cui lo scorso gennaio la Procura aveva notificato loro l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e a riformularlo con l’aggiunta dei nomi di sei nuovi indagati.
Nel fascicolo, coordinato dai pm Viviana Del Tedesco (nella foto) e Marco Panzeri, sono così entrati anche Roberto Duz, quale allora vice presidente della Ziac (espressione del Comune di Torviscosa, di cui era il sindaco), e i consiglieri dell’epoca Pietro Del Frate (Comune di San Giorgio di Nogaro), Nicola Del Frate (Provincia di Udine), Ernesto Milan (Autorità portuale), Vincenzo Spinelli (Mediocredito) e Cristina Papparotto (Confindustria). Nei guai anche lo stesso Consorzio Aussa Corno, nella persona del legale rappresentante pro tempore, in quanto liquidatore, Marco Pezzetta (che quindi è chiamato a rispondere non come persona fisica), in virtù della normativa contenuta nel decreto legislativo n. 231 del 2001, che disciplina la responsabilità penale dell’azienda per reati commessi da propri amministratori o dipendenti. Le notifiche degli avvisi sono cominciate ieri mattina.
Invariata, invece, l’ipotesi di reato per cui si procede: l’utilizzo di 10.910.481,93 euro dei 21.265.702,54 complessivamente ricevuti in sette anni (tra il 2002 e il 2009) dalla Regione per operazioni diverse da quelle cui erano stati destinati. E cioè, in particolare, per l’acquisto di una serie di terreni (“ex Oleificio”, “ex Montecatini” ed “Ex Cogolo”, ex Decof ed ex Radicifil) a prezzi fuori mercato e con tanto di accollo delle spese di bonifica, in barba agli interventi programmati nei cosiddetti “Piani Porti” per il completamento e potenziamento di infrastrutture e attrezzature nell’ambito di Porto Nogaro. La cifra corrisponde a quanto indicato dal Commissario straordinario del consorzio, quale residuo non impiegato per gli interventi programmati nei “Piani Porti”, appunto, approvati dal 2002 al 2009 e mai riaccreditato sul conto di tesoreria. Le operazioni sarebbero avvenute tra il 9 aprile 2010 e il 20 luglio 2011 e avrebbero contribuito a incrementare il saldo negativo del consorzio, indicato in 2.066.976,52 al 31 dicembre 2013.
Interrogati su loro espressa richiesta rispettivamente l’8 e l’11 aprile dal pm Del Tedesco, Strisino e Serena avevano insistito sia sulla collegialità delle decisioni, condivise sempre con il Cda, sia sulla bontà delle operazioni che, in quel periodo, avevano tentato di portare in porto, ma che erano poi regolarmente sfumate. Trattative e relativi interlocutori per i quali entrambi gli indagati non hanno esitato a squadernare nomi e cognomi e nei quali la Procura ha invece ritenuto di scorgere la conferma dei propri sospetti. E cioè che direttore, presidente e consiglieri abbiano agito in assenza di una progettazione, con finalità diverse dall’interesse pubblico e senza avere prima ottemperato all’onere delle bonifiche.
Almeno tre i casi esaminati. Innanzitutto, il gigantesco affare che avrebbe visto approdare nella Bassa friulana un facoltoso investitore cinese, interessato a rilevare un’ampia area da trasformare in polo logistico. Il contatto gli era stato dato dall’ex presidente di Autostrade, Giancarlo Elia Valori (già nei guai per la tentata scalata in Alitalia) e questo, a quanto appreso negli ambienti investigativi, avrebbe fatto storcere più di qualche naso a San Giorgio di Nogaro. Se si fosse conclusa – aveva spiegato Serena – l’operazione avrebbe portato ala Ziac circa 120 milioni di euro. Alla fine, però, il cinese aveva preferito puntare i propri denari sul porto di Civitavecchia.
Non meno emblematica, secondo la Procura, la trattativa intavolata con la società austriaca Griesser Gruppe per l’acquisto dell’area ex Decof per 10 milioni di euro. Al pm Strisino aveva raccontato che l’affare non era poi andato a buon fine per ragioni a lui sconosciute. Altrettanto dicasi per il nulla di fatto con la Clean Energy srl, a sua volta disposta a comperare un lotto di terreni per 7 milioni. Fallito l’accordo, al preliminare con incasso di una caparra di 200 mila euro, era seguita la restituzone in misura raddoppiata. Nel tirare le somme, la Procura pare orientata a considerare quantomeno le prime due “occasioni” un potenziale rischio per l’economia del territorio: lo sbarco di concorrenti stranieri in casa, a tutto discapito delle imprese locali.
Storie di ordinaria “sprecopoli”, insomma. Non a caso, sulla vicenda anche la Corte dei conti del Fvg ha aperto un’istruttoria, per un’ipotesi di danno erariale calcolato per il momento in 21,7 milioni di euro.
E a riprendere in mano la documentazione relativa alla Ziac e, più specificatamente, al suo stato d’insolvenza - il commissario liquidatore ha calcolato in oltre 67 milioni di euro il passivo -, saranno a breve anche i giudici dell’appello di Trieste, ai quali la Procura ha presentato reclamo avverso il decreto con il quale il tribunale di Udine aveva dichiarato inammissibile la richiesta di fallimento del Consorzio (che, in quanto persona giuridica di diritto pubblico che esercita direttamente un’attività imprenditoriale, non è sottoponibile alla legge fallimentare). «È un problema giuridico totalmente nuovo – ha affermato il procuratore Antonio De Nicolo –, ma riteniamo di avere argomenti giuridici validi. Senza una dichiarazione di fallimento, il rischio, in presenza di così tanti creditori, è un incontrollato “assalto alla diligenza”».
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