Ligabue, rabbia e solitudine al Museo Rivoltella: la rassegna dedicata a un espressionista geniale
Al Museo Revoltella la rassegna dedicata al pittore. Oltre 60 le opere esposte

Era il 22 novembre del 1977 quando andò in onda in tre puntate su Rai 1, lasciando un segno indelebile nella memoria di tanti telespettatori italiani. Lo sceneggiato "Ligabue" con Flavio Bucci per la regia di Salvatore Nocita raccontava la vita tormentata e visionaria del pittore Antonio Ligabue lungo un'esistenza dolorosa segnata da solitudine e disagio psichico. Lo stesso fece nel 2020 Giorgio Diritti con il film “Volevo nascondermi” con Elio Germano.
Oggi una mostra intende sovvertire quella connotazione di "diverso", di "freak" e naïf cucita addosso al protagonista e rimasta impressa in molti in quel momento perfetto di grande televisione, restituendo invece tutta la pienezza e complessità del suo espressionismo tragico.
Lo fa andando oltre, grazie anche all'esperienza di chi quel personaggio unico l'ha conosciuto e affiancato, accantonando quella vita disgraziata e rimettendo invece al centro di tutto soltanto le sue opere, fino a suggerire la figura di un uomo che, al contrario, era totalmente consapevole della propria arte.
È questa la chiave di lettura data da Francesco Negri e Francesca Villanti, curatori di "Antonio Ligabue", la mostra antologica dedicata a uno degli artisti più inconfondibili del Novecento per la prima volta in Friuli Venezia Giulia: al centro, più di 60 opere che saranno visibili da oggi al Museo Revoltella di Trieste. La maggior parte oli, ma anche disegni e sculture costituiscono il corpus della mostra organizzata da Arthemisia e Comune di Trieste visitabile fino al 18 febbraio, aperta dal lunedì alla domenica e festivi con orario 9-19 (la biglietteria chiude un'ora prima); martedì chiuso. L'ingresso mostra più museo sarà di 15 euro l'intero, 13 per il ridotto; altre info su www.museorevoltella.it.
Non a caso è un Ligabue vitale, vincente, fiero quello che dà il benvenuto al visitatore, ritratto con una delle sue fiammanti Guzzi - ne aveva ben dieci, più una Bmw - anch'essa in mostra.
«"Antonio Ligabue: il van Gogh con la moto rossa" titolava l'articolo di Grazia Livi su Epoca nel '61 dopo la memorabile mostra alla Barcaccia di Roma che lo consacrava per la prima volta a livello nazionale - spiega Francesca Villanti -. Lo sceneggiato è stato sì un successo straordinario ma ha in qualche modo offuscato la sua grandezza di artista. A parlare qui saranno le opere: sono opere che riescono a penetrare l'anima e nutrire la fantasia, a partire da questo autoritratto degli anni Cinquanta che segna un vero e proprio riscatto». Il pittore infatti si ritrae offrendo la versione migliore di sé: con la tavolozza, il suo cane e la moto, «simbolo del successo raggiunto. Successo che esprime attraverso il colore - continua la curatrice - e attraverso i quattro o cinque soggetti che ripete in maniera quasi compulsiva, che rielabora, che riscrive ogni volta apportando piccole modifiche, sempre a esorcizzare quella violenza che ha subito. Per Trieste siamo partiti proprio da quest'opera e da una delle undici moto che colleziona, simbolo concreto del suo successo, seguendo un percorso cronologico fondamentale per capire l'evoluzione della sua arte».
Lo studioso e critico Sergio Negri, spiega ancora Villanti, «uno dei primi che ha creduto nella sua grandezza, l'ha ospitato nel '61, l'ha studiato con amore e dedicato tutta la propria vita a far conoscere l'opera di Antonio Ligabue», è il padre dell'altro curatore, Francesco: nel '75 ne ha categorizzato l'opera in tre periodi, che l'esposizione rispetta. È infatti divisa in tre tranche temporali: dal 1927 al '39, dal '39 al '52 e infine dal '52 al '62, «anno in cui - annota Francesco Negri - subisce una paresi cerebrale che lo costringe a vivere in stato vegetativo, per tre anni fino alla morte».
Così il visitatore alla mostra allestita al Museo Revoltella può vedere l'incertezza degli inizi, coi toni chiari e poco accesi, quindi l'apertura a «così tanta luce, colore e materia da sembrare dei bassorilievi» del secondo momento creativo, fino alla totale padronanza della tela nella maturità, il momento più prolifico, dove la sicurezza e l'abilità si vedono in ogni particolare e dove l'autore diventa espressionista a pieno titolo. È la parte dove si concentrano la maggior parte dei degli autoritratti: «in mostra ne abbiamo una serie: è uno più bello dell'altro, ognuno con un tormento diverso - evidenzia Negri -; ma in comune hanno una tristezza di fondo, quella sofferenza di non essere capito».
«Ligabue non era affatto un ingenuo e soprattutto aveva una forte consapevolezza artistica - sottolinea ancora il curatore -. "Io sono un grande pittore" dice presentandosi ad un "collega" già molto noto come Marino Mazzacurati: uno tra i primi a cogliere quella violenta e irrefrenabile forza creativa e definirlo, nel 1965, "un grande pittore espressionista tragico"», a togliere quella riduttiva, ingiusta etichetta che lo relegava a pittore "naïf".
Oltre alla moto Guzzi Sport del 1930, animali imbalsamati fanno da cornice alle vibranti e coloratissime opere che innervano una mostra decisamente accattivante. D'altronde Ligabue è un genio viscerale e «altamente emotivo», che presenta non pochi punti di contatto con un autentico gigante della pittura. Un cortocircuito artistico che vede l'esposizione fare da apripista a una prossima mostra dove il Comune di Trieste, a detta dell'assessore Rossi, «si gioca tutto»: «epocale, enorme e sproporzionata rispetto al numero degli abitanti della città», sarà dedicata al genio di Vincent van Gogh, annunciata da Rossi e Iole Siena di Arthemisia in arrivo a Trieste il prossimo anno. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto