L'ex francescano: «Ho accudito per mesi padre Pio, in Friuli la mia vita è cambiata»

«Sto leggendo il passo biblico laddove Mosè chiede perdono per il suo popolo, così come io lo chiedo per il nostro. Questa tragedia finirà». Dalla sua casa di Ascoli Piceno risponde così, Michele Monopoli. «Mi chiama dal Friuli? Oh...», sospira.
Ha 82 anni, ne sono passati 45 da quando abitava a Bevazzana, per poi trasferirsi nel Trevigiano, prima di tornare nelle sue terre: «Ma non ho dimenticato né i friulani, né i veneti e, soprattutto, la loro generosità, la bellezza di quei luoghi».
Michele Monopoli arrivò da queste parti non per caso e con un bagaglio di ricordi e di emozioni che tuttora non si sono affievoliti. Lui, prima, era padre Silvano da Cerignola, francescano, assistente di padre Pio. Stette accanto a quello che sarebbe divenuto santo, da giugno 1964 a novembre 1965, a San Giovanni Rotondo.
«Ero sacerdote sacrista con il compito di accudirlo. Lo aiutavo a indossare i paramenti, servivo le sue messe, lo accompagnavo in chiesa o in refettorio, gli portavo i pasti nella cella se non stava bene. Quando lo sorreggevo mi trasmetteva una grande gioia».
Che cosa c’entra, dunque, questo allora giovane frate col Triveneto? È presto detto. Dopo la morte di padre Pio, il 23 settembre 1968, padre Silvano chiese la dispensa dei voti e la ottenne da papa Paolo VI. Uscì dall’Ordine francescano, tornando ad essere Michele Monopoli nei primi anni Settanta.
Su quella decisione si sofferma poco, anche se sorprende una scelta così forte dopo essere stato accanto a un uomo altrettanto forte: «Non mi piaceva tutto ciò che ruotava attorno alla figura di quello che per me era già un grande santo». Tornato allo stato laicale, formò famiglia. In questo momento incrocia il Friuli e il Veneto.
Andare al Nord, per ricominciare. «Un amico frate mi accolse a Trento, mi aiutò a reinserirmi nella società. E avendo contatti in Friuli, lì mi trovò una sistemazione». Venne accolto da un imprenditore di Latisana: «Era il mio datore di lavoro, dormivo nel suo salone.
Aveva una grande macelleria, lunghi corridoi con le celle laterali. Riforniva sia le strutture alberghiere e della ristorazione sia i negozi. Lo stabilimento si trovava in prossimità del ponte di Bevazzana. Lui curava i contatti con i clienti, io formalizzavo gli ordini della carne, li davo agli autisti e loro procedevano alle consegne».
Due anni in Friuli: «Ricordo il Tagliamento, la foce verso il mare, le ore passate a guardare l’orizzonte. La scelta di lasciare l’Ordine era già avvenuta dopo la morte del grande santo. Volevo formare una famiglia, diventare padre. Un frate comprensivo mi disse: meglio che tu sia un buon laico piuttosto che un cattivo prete».
Dopo l’esperienza friulana, Michele Monopoli tornò a Trento, dove, da impiegato contabile per un commerciante di alimentari, fece domanda per entrare nella pubblica amministrazione. «Dal provveditorato mi proposero di fare il censore di disciplina, sorvegliante degli alunni si direbbe oggi, nei convitti annessi alle scuole professionali. Accettai la nomina nel convitto di Castelfranco Veneto, sezione di Colle Umberto dell’istituto alberghiero».
Nel frattempo aveva maturato la decisione di sposarsi con Carmela Argentino. La donna, originaria del paese di Michele Monopoli, aveva lavorato come baby sitter per la famiglia dell’imprenditore friulano: «Aveva tre figli e lei li accudiva».
Il vescovo di Vittorio Veneto disse che il matrimonio era soggetto a lui. «Mandò il cancelliere e stabilì che mi sposassi nella chiesa di San Lorenzo, a Vittorio Veneto». Era il 20 aprile del 1976, il ricevimento avvenne a Revine Lago. Nel 1978 ottenne un alloggio a Montebelluna e lavorò a Possagno, stessa mansione. La moglie era guardarobiera.
Dal matrimonio è nato Manuel, un’infanzia trascorsa, sino al 1983, in Triveneto. Poi il rientro a Cerignola, lavorando nell’istituto alberghiero di Vieste. Carmela Argentino morì nel 2001. Parte del suo ramo familiare si è fermato in Friuli: «Lo zio Emilio – racconta Manuel – partì per Sauris, come segretario comunale. Poi a Visco e San Vito al Torre. Ora vive a Udine».
A riscoprire la figura di Michele Monopoli è stato lo scrittore Roberto Allegri, che ne ha ricostruito i legami con padre Pio per Famiglia Cristina. «Ogni giorno all’alba lo accompagnavo alla messa – racconta Michele Monopoli –. Si toglieva i mezzi guanti che coprivano le stimmate e me li consegnava: io li mettevo nella pettorina del saio. Emanavano un profumo intenso di fragole.
La sua missione era il confessionale: restava a confessare tutto il giorno. Il mercoledì delle ceneri del 1965 si attardò in confessionale. Il pomeriggio mi disse: e ora chi me le impone? Gli dissi che il superiore avrebbe provveduto entro sera. Ma lui: mettimele tu. E così feci. Fu un momento indimenticabile».
Michele Monopoli riparla del Friuli, prima esperienza da laico. «Avrei voluto essere riammesso al sacerdozio, ma chiedevano che prendessi atto di una sorta di incapacità di intendere e volere al momento dell’abbandono. Non l’ho voluto firmare, quel foglio. Ma io resto sacerdote in eterno». Il congedo avviene con l’auspicio che la pandemia abbia a finire.
«Il Nord è stato duramente colpito. Penso anche al Friuli, al Veneto, dove mossi i primi passi di un cammino nuovo. Mi saluti quelle terre».—
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