Lettera di guerra “recapitata” dopo 98 anni

San Vito al Tagliamento, il nipote trova on line la busta, sigillata e mai giunta a casa, spedita dal nonno prigioniero in Germania

SAN VITO. Ritrova e acquista sul web una lettera di guerra risalente a quasi cent’anni fa, ancora sigillata: il nonno l’aveva spedita al bisnonno da un campo di prigionia a Norimberga. Una storia capitata a un socio della sezione filatelica della Somsi di San Vito, Nico Moretto, conosciuto in paese per la sua attività alla fioreria Marzio.

Come tutti i collezionisti, è sempre alla ricerca di qualche pezzo originale. Una “caccia” che viaggia anche via web, nei motori di ricerca di acquisti on line.

Sul popolare eBay, spulciando tra il materiale filatelico per la sua collezione sulla prima guerra mondiale, arriva la sorpresa. Moretto si imbatte in una vecchia lettera con annullo risalente alla Grande guerra.

Sulla busta, ad attirare la sua attenzione, una grossa scritta a pastello blu in lingua tedesca che copre parte dell’intestazione, che però, seppur parzialmente, si legge. È indirizzata a Sesto al Reghena: è il paese d’origine dei Moretto.

Ingrandendo l’immagine, emerge il nome del destinatario, tale Osvaldo Moretto. Il socio Somsi ora è preso dalla curiosità: chiede al padre Renato se quel nome gli dice qualcosa. Il padre lo guarda sorpreso e gli conferma che Osvaldo Moretto era suo nonno.

La lettera, messa in vendita da un negozio di antiquariato, dalla descrizione risulta “ancora chiusa”. Nico Moretto si aggiudica l’asta per appena 15 euro.

Affida l’apertura di quello che si stava rivelando un cimelio di famiglia al padre Renato, nipote di Osvaldo. Insieme leggono la lettera, datata 10 gennaio 1918 e spedita dal campo di prigionia di Norimberga: chi scrive era il padre di Renato e nonno di Nico, Antonio Moretto, all’epoca della guerra caporale dell'esercito italiano.

Il prigioniero Antonio rassicura sul suo ottimo stato di salute: «Caro padre – scriveva nel 1918 – ora mi trovo in Baviera a lavorare in una segheria, mangio e bevo in compagnia col mio padrone, sono molto contento, mi vogliono molto bene, vado ogni giorno coi cavalli a prendere legname nei boschi».

La lettera continua con domande su casa e lavori nei campi, prosegue con un saluto a sorelle, nipoti e parenti. Aggiunge la richiesta di inviargli mutande, camicie e scarpe e, se possibile, più in là nel tempo, una giacca pesante.

La missiva si conclude con una curiosa richiesta di un libro di seconda classe. Antonio ha conosciuto un amico francese che vorrebbe imparare l’italiano: «Se non lo avete, compratelo dalla maestra, vi prego di mandarmelo e anche dei soldi».

Antonio Moretto era stato catturato durante i combattimenti sul Piave. Liberato dopo la guerra, tornato nella sua Sesto, ebbe sette figli e lavorò come contadino. La sua lettera è giunta a destinazione, non ovviamente a suo padre Osvaldo ma ai suoi discendenti, quasi cent’anni dopo.

«É stata una sorpresa – ha spiegato il pronipote –. Le cause per cui non è mai giunta a destinazione quella lettera restano nel mistero, ma sono contento che sia arrivata finalmente a casa».

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