Le Regioni chiedono di rivedere gli indicatori per le aree di rischio: troppo complicati, massimo 5

UDINE. L’incasso e il risultato politico ci sono tutti, quello pratico, invece, si vedrà nel corso dei prossimi giorni quando – parola di Giovanni Toti numero uno ligure e vicepresidente della Conferenza delle Regioni – i presidenti incontreranno il Governo. Una videoconferenza che servirà a presentare all’esecutivo le richieste approvate all’unanimità da parte delle Regioni e che rappresentano il placet completo degli altri territori – e da qui l’incasso politico e di immagine – alle idee di Massimiliano Fedriga.
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«La proposta del Friuli Venezia Giulia di revisione dei parametri e di modifica del processo decisionale è stata accolta dalla Conferenza delle Regioni – ha confermato Fedriga –. Il nostro obiettivo è quello di avere a disposizione parametri immediatamente disponibili da parte delle Regioni e frutto di un confronto con la parte tecnico scientifica sia a livello nazionale sia regionale. Un confronto che deve essere da supporto per la decisione finale che non può che essere di carattere politico. Chiediamo un passo in avanti in termini di responsabilizzazione sia da parte del Governo sia delle Regioni con l’obiettivo di compiere le scelte migliori per combattere la pandemia e tutelare la massimo la salute dei cittadini».
La riunione delle Regioni era stata chiesta proprio da Fedriga per riuscire a trovare una sintesi del territori e premere sul Governo.
Ma cosa chiedono, quindi, le Regioni al Governo? Una sorta di “tagliando” ai 21 parametri presi in considerazione per definire la soglia di rischio dei vari territori e, soprattutto, che la decisione finale sulla fascia in cui inserire le Regioni – gialla, arancione oppure rossa –, sia appunto politica, come ha spiegato Fedriga, e non prettamente tecnica. Non soltanto, però, perché al di là del fatto che i parametri, stando ai governatori, dovranno essere soltanto di supporto alle decisioni del Governo, e non essere quindi l’unico discrimine preso in considerazione, le Regioni vogliono che sia per i criteri tecnici sia per le scelte politiche si apra un preventivo confronto con i presidenti – questa settimana dovrebbe avvenire prima di venerdì, data del nuovo monitoraggio da parte del Cts –, un po’ come accaduto in Germania dove Angela Merkel ha dovuto innestare la marcia indietro dopo il “nein” dei Länder a ulteriori restrizioni anti-Covid. Le Regioni, infine, vorrebbero ottenere anche certezza sulla scelta e sul peso dei diversi parametri, ma soprattutto una riduzione degli stessi.
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L’ideale, stando ai governatori, dovrebbe essere quello di arrivare a un massimo di cinque indicatori: la percentuale di tamponi positivi escludendo tutte le attività di screening e re-testing degli stessi soggetti, un Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata Iss, il tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva per pazienti Covid e quello dei posti letto complessivi per pazienti affetti da coronavirus oltre alla possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena e il numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate al contact-tracing.
In questo paniere di criteri, inoltre, anche su indicazione del vicepresidente Riccardo Riccardi, Fedriga ha chiesto che venga posta particolare attenzione a due aspetti e cioè la percentuale dei ricoveri – il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione italiana ancora sotto la soglia del 30% delle Intensive occupate da pazienti Covid – e alla quantità di tamponi effettuati, non soltanto al tasso di positività. «Siamo una delle Regioni – ha sostenuto il presidente – che effettuano più tamponi in relazione al numero degli abitanti e sicuramente la migliore tra quelle delle nostre dimensioni. Qualche esempio? Noi oggI abbiamo effettuato quasi 6 mila test, la Liguria ne ha fatti 300 in meno, l’Abruzzo si ferma a 5 mila e le Marche a 2 mila 300. È uno sforzo enorme ed è altrettanto chiaro, quindi, che più tamponi si effettuano più positivi si trovano».
Fino a qui, in ogni caso, c’è la politica in cui Fedriga trova consenso unanime – compresi anche governatori di centrosinistra come il dem Eugenio Giani per il quale «le Regioni vanno coinvolte nella valutazione delle fasce di rischio» –, ma poi arriva la pratica. E se è bene sottolineare come le speranze di ritornare in zona gialla già venerdì siano pari a zero – «temo sia impossibile» conferma Fedriga – bisognerà capire se il Governo aprirà o meno alle Regioni.
A sentire Francesco Boccia, però, pare che la strada non sia così agevole. «Se le richieste sono legate alla ponderazione di alcuni parametri rispetto ad altri – ha detto il ministro – possiamo discuterne. Ma se il nodo è uscire dall’oggettività dei dati per entrare nella discrezionalità della politica, allora su questo ho dei dubbi. Il monitoraggio non è un’alchimia misteriosa, ma il prodotto di un decreto ministeriale e di una cabina di regia composta da persone che non improvvisano, ma tecnici e scienziati. Ho la sensazione che ci sia la corsa a chi esce prima dalla condizione di limitata restrizione: se ci stiamo una o due settimane in più non è un problema».
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