Latte contraffatto, chiesti 21 anni di carcere
UDINE. «Siamo di fronte a una vicenda di una gravità eccezionale. E non soltanto per il fatto in sé, ma anche per i comportamenti precedenti e quelli successivi, non essendo stato fatto niente per evitare di mettere a repentaglio la salute dei consumatori».
Accuse pesanti come macigni quelle sostenute dal sostituto procuratore di Udine, Marco Panzeri, al processo sulla presunta presenza di aflatossine M1 oltre i limiti di legge in alcune partite del latte impiegato nel 2013 dalle “Latterie Friulane”, lo storico consorzio di Campoformido di cui Parmalat, nel 2015, acquisì asset e marchi. E così, anche se quella approdata in aula due anni fa era stata un’inchiesta ridimensionata, dopo la sforbiciata data dal gup a imputazioni e imputati, la portata del reato ipotizzato, l’adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari, non cambia.
Codice alla mano, il pm ha chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione per ciascuno dei tre dipendenti cui era stato contestato il solo episodio relativo a 16.468 litri di latte sospetto. Altri 2 anni e 6 mesi e 500 euro di multa sono stati chiesti per ciascuno dei tre allevatori e produttori finiti a loro volta nei guai per un asserito commercio di sostanze alimentari nocive, in relazione a 5.500 litri di latte. Per un totale di 21 anni. Corale, per quanto diversificata a seconda delle posizioni, la conclusione delle difese: assoluzione per tutti.
L’impianto accusatorio
Basata sulla montagna di intercettazioni, ispezioni e testimonianze raccolte dai carabinieri del Nas nel 2014, l’inchiesta era fondata sul presupposto che il latte con livelli di aflatossina M1 sopra soglia (0,050 µg/kg), invece di essere smaltito, fosse miscelato con quello genuino, per fare rientrare la concentrazione delle partite destinate alla vendita entro i limiti di legge. Il pm Panzeri lo ha ripetuto nella requisitoria di ieri, ricordando una per una le funzioni all’epoca svolte nel consorzio da Rino Della Bianca, di Tricesimo (per due settimane ai domiciliari), Isabella Croattini, di Pasian di Prato, e Roberto Gerunda, di Trieste, responsabili rispettivamente dell’approviggionamento del latte, della qualità e delle produzioni. La contestazione sopravvissuta è relativa alle 3.504 confezioni che, tra il 12 e il 14 dicembre 2013, la “Soligo” di Treviso rispedì al mittente in quanto «non conformi».
La difesa sul caso Soligo
«È un processo basato su condotte successive a quella contestata nel capo d’imputazione e per le quali gup e Cassazione hanno già dichiarato l’irrilevanza penale». L’avvocato Luigi Francesco Rossi, difensore insieme alla collega Federica Tosel di Della Bianca, è partito da qui per smontare quel che resta dell’inchiesta. Erano stati proprio i giudici della Suprema Corte, cui la Procura aveva presentato ricorso, a certificare nel 2017 la «non pericolosità» per la salute pubblica del latte raccolto nello stabilimento di Campoformido.
Fermamente respinta, inoltre, l’accusa di non avere fatto niente per sospenderne la raccolta. Sul punto ha insistito anche l’avvocato Maurizio Miculan, che assiste Croattini. «Quando è giunta la segnalazione da Soligo – ha detto –, si è immediatamente attivata per eseguire verifiche con un laboratorio chimico esterno». E all’arrivo dei risultati, il successivo 18 dicembre, «il latte fresco era già scaduto – hanno affermato i legali – e quindi non più in commercio».
Senza contare che, «in quanto responsabile della qualità – ha osservato Miculan – non aveva rapporto diretto con i conferitori, né alcun potere o dovere d’intervenire nel laboratorio del consorzio». Proprio come Gerunda. «Assunse le funzioni di direttore tecnico di produzione il successivo 1° gennaio 2014 – ha evidenziato l’avvocato Raffaele Leo –. Appreso il problema, infatti, fu proprio al suo predecessore che lo segnalò (a sua volta imputato e già prosciolto dal gup, ndr). In ogni caso, non aveva certo il potere interdittivo di impedire la miscelazione del latte».
I conferimenti a Ovaro
Risalgono al 12 e al 14 dicembre 2013 i conferimenti alla Latteria di Ovaro contestati invece a Ennio, Loris e Mauro Frucco, di Cornino di Forgaria, cui da poco era stata revocata una sospensione a seguito della verifica analitica ufficiale.
Due i capisaldi della difesa sostenuta dall’avvocato Roberto Mete. Da un lato, «l’inattendibilità del dato analitico, costruito – ha rilevato – su un campione cui l’Associazione allevatori, dopo un’analisi di “primo impatto”, non ha fatto seguire la procedura ufficiale con il metodo Hplc». Dall’altro, «l’impossibilità di collegare quel campione al latte effettivamente caricato nella cisterna per il conferimento a Ovaro». Il processo è stato rinviato al 28 maggio, per l’ultima arringa e l’eventuale sentenza.
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