L’artigiano che costruisce robot utilizzando materiali di scarto

Alessandro Biasotto, 47 anni, opera nello studiolo di Pordenone che fu del nonno falegname «Mi piaceva disegnare, poi ho cominciato a modellare il legno e a comporre oggetti riciclati»

PORDENONE. Una sfera e un ingranaggio come ruote, un pezzo di lampadario come manubrio, di affettatrice come serbatoio, un calzascarpe come parafango; le campane degli elefanti thailandesi formano il busto del centauro, la sua testa prende forma grazie alla rotella di un pattino. Eccoli, moto e motociclista.

Un quadrante di orologio dà forma agli occhi, un pezzo di cancello per nasone, il tallone di uno scarpone da montagna forma il bacino da cui parte, con una tavola di castagno (al centro, una serratura come cuore), il bacino che si muove grazie a una molla. Una chiave a brugola e un pezzo di lampadario per braccia e piedi. Eccolo, Pinocchio, un metro di altezza.

La storia dell'artigiano che realizza robot con materiali riciclati

Un robot, che sta in piedi e seduto grazie a una lancia ottenuta grazie a un rebus di chiavi inglesi, è costruito con la testa quadrata in legno, uno spioncino della porta e un mandrino di trapano per occhi, una cassettiera come busto.

Riassumendo alcuni componenti: tavole recuperate da segherie, lo smalto e i colori dai pittori, collane indiane frutto dei viaggi indiani di Viki; ancora, bulloni, viti, ferri e copiglie, pomelli di cassetti e porte, borchie e fiori finti. Prendono forma così le opere, uniche, di Alessandro Biasotto, 47enne pordenonese, artigiano e, soprattutto, scultore, “scoperto” alla manifestazione “Artigianato vivo” di Cison di Valmarino, dove ha pure ottenuto il primo premio e dove di lui dicono: «L’abbiamo visto per la prima volta ragazzo, con gli anni è diventato un maestro».

Sin da bambino aveva la passione per il disegno: «Partecipai al concorso di quelli sul terremoto del Friuli». Il nonno, Riccardo Cavallari, era falegname e «con lui, severo ma paziente, imparai a fare le prime cornici. Da allora ho sempre avuto una forte passione e attrazione per il legno».

Presero forma così i primi teatrini di marionette e le casette in miniatura con tantissimi dettagli. Dopo, le prime sculture, soprattutto volti barbuti, «barbe ispirate a quella di mio papà, che era aiutante tecnico in una scuola professionale». Terza fase, l’elaborazione dei robot e delle lampade, utilizzando il ferro vecchio e componenti dismessi.

«Ben 18 anni fa partecipai all’esposizione di Cison di Valmarino con pupazzetti e burattini». Anche se l’anteprima assoluta fu il Pic nic di Ceolini, dove è un ospite irrinunciabile. Nella vita, intanto, posava scale, serramenti e parquet, mestieri che comunque avevano attinenza col legno. «Ero attratto da quel momento, eravamo pochi e folli.

Presi per gioco un pezzetto di betulla e con un taglierino incisi un volto. Lo mostrai agli scultori che mi dissero: le basi ci sono, adesso impara». Pezzo dopo pezzo, le forme diventano sempre più precise e originali. Nascono i primi personaggi elfici e fiabeschi. «Quando ne completo uno, per due-tre giorni non voglio vedere nessuno: rimbalzo tra il soddisfatto e l’arrabbiato per non avere ottenuto ciò che volevo». Perché Alessandro Biasotto produce sculture rispettose – ovvero utilizzando tronchi di piante morte – e istintive, senza disegni e progetti a monte se non quelli che ha nella sua testa.

Un tronco diventa drago, un altro un Cristo, un altro ancora una sirena sino ad arrivare a quel castagno trasformato in Inferno – seguendo la linea del legno – carico di mascheroni, donne indemoniate, teschi, streghe, il diavolo. «Ma non lo cederò sino a quando non percepirò che l’acquirente sarà mosso da vera passione e affinità e non dagli affari». Succede anche per altre opere. «Se vuoi un mio pezzo – è il suo ragionamento – non solo deve piacerti, ma anche tu devi piacere a me. Nel senso che vi deve essere empatia, che devi custodire quell’opera col cuore. Altrimenti rinuncio a dartela. È vero che ci perdo, ma solo qualcosa di materiale».

Se la scultura occupa gran parte della giornata, nei tempi privi di ispirazione o materia prima Alessandro Biasotto si dedica ad altre creazioni, come le lampade e i robot, pezzi molto richiesti da grandi e piccini.

Per le prime si parte da un perno di spazzola e si arricchisce di un congegno che, negli anni Cinquanta, veniva utilizzato per pulire le bottiglie. «Questo meccanismo dà più o meno intensità alla luce: gioco sull’estetica per dare dinamicità ed equilibrio al tutto, utilizzando molle e perni di equilibrio». Per un’altra ha utilizzato un pezzo di macchina da cucire e un copiatore.

«Sono contento di me, per quanto riguarda l’artigianato artistico. Non faccio questo per vendere, perché farei la fame. Anzi, ringrazio mia moglie: la sua pazienza e il suo lavoro ci permettono sicurezza e possibilità di espressione artistica. A volte mi spiace di non avere tempo per realizzare qualcosa di più, ma anche il tempo è legato a quello che sono dentro, alle mie idee, alla forza di fare e di pensare qualcosa di nuovo. E poi, per chi ci crede, staccarsi dalle proprie produzioni è doloroso, è come perdere qualcosa si se stessi».

L’adolescenza del nostro è stata quella di un giovane ribelle: «Aveva una valenza politica e sociale e mi ha permesso di arricchirmi di esperienze. Col tempo mi sono tolto l’etichetta di “anarchico”, ma continuo a soffrire per i più deboli, coloro che non possono raggiungere i loro obiettivi. Anche per questo cerco di fare delle cose che possano essere accessibili a tutti».

Il nostro artista non lavora prettamente su commissione: «No, perché significa realizzare qualcosa che non nasce da me. Tutto quello che faccio deve essere sentito, che valga dieci o cento euro». Ha accettato, per esempio, di realizzare un’intera cucina: «La proprietaria però non mi ha dato indicazioni. Mi ha detto: ti conosco e mi fido, fai quello che vuoi. Ho avuto paura, ma ce l’ho fatta».

Nel suo studiolo di vial Rotto, a Pordenone, Alessandro Basso sistema un robot di materiale riciclato. Lavora sul bancone che fu del nonno, quel nonno che gli ha trasmesso la passione per il legno e per la creatività. E pensa ad alta voce: «Ho fatto tante cose belle, ma non tutte le reputo opere d’arte».

E guarda al futuro: «Sento che è arrivato il momento di creare “cose volanti”, oggetti che fanno riferimento al volo, al movimento». Lo dice mentre maneggia un vecchio contenitore arrotondato che potrebbe costituire la pancia di una mongolfiera. «E poi vorrei fare una cosa grande, una installazione legata al tema del riuso». Come quella che recentemente ha presentato alla Festa dei popoli a Giavera del Montello dal titolo “Attraversando paure, ho bisogno di mondo”.

Doveva riempire un’area del parco sul tema del riciclo. Ha recuperato tanti bancali e ha costruito una casa sotto l’albero: fuori era grigia, le paure, dentro colorata, come i bisogni di libertà di entrare, di uscire, di lasciare una propria traccia. «In futuro vorrei che quel prato, al posto della casa di legno, si riempisse di tanti fiori. Fiori colorati e giganti, realizzati con materiale riciclato. Nulla si butta, del mondo, tutto ha significato e il suo posto, piccolo o grande che sia».

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