L’arcivescovo di Udine prega per un Natale di dialogo: «Dobbiamo fare di più per l’integrazione»
Monsignor Riccardo Lamba racconta il suo anno e mezzo in Friuli: «Grande orgoglio. La sicurezza? Dove ci sono reati, vanno affrontati, ma sempre con una prospettiva rieducativa»»

A poco più di un anno e mezzo dall’insediamento alla guida dell’Arcidiocesi di Udine, monsignor Riccardo Lamba traccia un bilancio del periodo friulano, tra visite pastorali, scoperte del territorio e riflessioni sulle sfide della comunità, in una città in trasformazione.
Come ha vissuto questo suo primo anno “intero” nella diocesi?
«Ho avuto modo di girare molto, visitando moltissime comunità parrocchiali, collaborazioni pastorali e non solo. Sono andato anche in tante realtà di assistenza, ospedali, case di cura, associazioni che si prendono cura delle persone fragili. È stata veramente un’immersione in tante bellissime realtà, ho constatato il tanto bene che viene fatto. Un altro aspetto è stato cogliere l’orgoglio per i beni, culturali e religiosi, custoditi con tanta cura. Un’esperienza edificante».
A Udine si percepisce un aumento delle tensioni sociali e del senso d’insicurezza. Lei l’ha avvertito?
«Credo che, come dappertutto, ci siano segni importanti positivi di integrazione e accoglienza. Ho incontrato tante famiglie inserite nei nostri oratori e nel volontariato, persone straniere che, integrate da anni, offrono la loro collaborazione. Sono fenomeni che non si fermano. Io stesso sono figlio di emigrati. Dal Friuli centinaia di migliaia di persone sono partite, hanno incontrato difficoltà, ma si sono integrate e fatte apprezzare. Credo che lo stesso possa avvenire per chi arriva oggi da Africa, Asia, Vicino Oriente. Dobbiamo fare di tutto perché possano integrarsi. Ovviamente, dove ci sono reati, vanno affrontati, ma sempre con una prospettiva rieducativa».
Rimanendo sul sociale, come affronta la diocesi il tema delle persone senza dimora, specie in inverno?
«C’è un grande sforzo della Caritas, con accoglienza diffusa nei territori attraverso strutture e canoniche non utilizzate. Qui a Udine, ad esempio, c’è il Fogolâr, la mensa e altre strutture che accolgono anche vittime della tratta. Uno sforzo notevole, ma non basta mai. Anche le istituzioni civili fanno la loro parte, ma c’è necessità di allargare, perché episodi di degrado estremo – purtroppo anche con esiti tragici – non devono avvenire».
Un altro tema è la diminuzione dei sacerdoti. Come si affronta?
«Abbiamo preti molto avanti negli anni, anche ottantenni e novantenni, ancora impegnatissimi. Per fortuna, in seminario ci sono vocazioni giovani e speriamo che altri rispondano. Dobbiamo ripensare la redistribuzione delle forze, ma insieme valorizzare l’impegno laicale. Nelle comunità trovo molti laici disponibili per la pastorale, l’evangelizzazione, la carità. Dobbiamo congiungere sempre più queste forze per trasmettere il Vangelo».
Nel 2026 saranno i 50 anni dal terremoto del Friuli. Lei, che allora era lontano, ha un ricordo personale?
«Tra i miei compagni di scuola c’era un ragazzo di Gemona che dovette scappare subito per venire ad aiutare. E ricordo amici scout di Roma che vennero quell’estate per aiutare nella ricostruzione e nell’animazione dei bambini. È un ricordo che ho maturato negli anni: quel terremoto fu un’occasione straordinaria per la Chiesa, per stringersi alla comunità, per una ricostruzione non solo materiale ma spirituale. Si valorizzò la corresponsabilità dei laici, un tema che oggi è più che mai attuale, soprattutto dopo il cammino sinodale».
Nel suo messaggio di Natale parla della luce da portare anche ai governanti. Qual è, concretamente, questo messaggio?
«La luce di cui parlo è quella che viene dall’alto, quella del Signore Gesù. Noi possiamo fare tante luci artificiali, ma solo quella luce può portare vera pace e concordia. Se potessimo dire ai governanti di attingere a questa luce – una luce che riguarda tutta l’umanità, nessuno escluso – allora si aprirebbero nuovi tavoli di confronto, dialogo, ascolto. Ci auguriamo che questa luce si diffonda universalmente».
Lei è nato a Caracas. Come vive la situazione odierna in Venezuela oggi e quale ruolo può avere la Chiesa?
«La Chiesa non si schiera con nessuna parte politica o etnia. Abbiamo ancora amici in Venezuela e sappiamo delle grandi difficoltà sociali che vivono. Ci auguriamo che la luce di Gesù riscaldi il cuore di tutti, favorisca il dialogo, il confronto e la ricerca del bene comune tra tutti i venezuelani».
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