L’architetto boccia la pietra piasentina

Pierluigi Grandinetti: per natura è troppo fragile, grigia e fredda «Il Comune riapra il dialogo per una pavimentazione diversa»
Di Laura Pigani

Sì alla restituzione dell’antica vocazione di piazza a Mercatovecchio. No alle scelte dell’amministrazione comunale o “imposte” dalla Soprintendenza, a cominciare dalla pavimentazione in pietra piasentina. È soprattutto questa decisione a indignare l’architetto Pierluigi Grandinetti, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana all’università Iuav di Venezia, che la definisce «un errore gravissimo, capace di distruggere l’identità della città». Meglio puntare su altri materiali. Anche a costo di «riaprire il dialogo con il nuovo soprintendente regionale per modificare la decisione».

Secondo il professionista, che ha lo studio in via Gorizia, la pietra piasentina per sua natura è assolutamente inadeguata per ricoprire via Mercatovecchio. «È una scelta priva di senso – va giù duro –: si sporca facilmente ed è un materiale non funzionale, inadatto a sopportare il passaggio di mezzi di soccorso o eventuali navette. Oltre che brutta, è anche fragile». A differenza, invece, di elementi maggiormente resistenti come il porfido.

«Ciò che gli amministratori comunali forse non sanno – argomenta Grandinetti – è che via Mercatovecchio è una piazza lunga fortemente trasformata in epoca moderna con il rifacimento di molti prospetti. Perché allora è così storicamente bella? Perché – ragiona il professionista udinese – ha conservato i pochi elementi costitutivi della sua identità: la configurazione sinuosa del tracciato, l’unitarietà dei prospetti pur nella loro variabilità (si veda il mirabile intervento di Gino Valle in ferro all’angolo con via Pulesi), il ritmo delle aperture, il segno unificante dei portici. Ma come dimostra il campione di piasentina già realizzato, che tra l’altro sta già andando a pezzi, la pietra è algida, fredda e abbassa di molto la qualità estetica della piazza lunga». Mercatovecchio è infatti una realtà colorata e la piasentina, seguendo il ragionamento dell’architetto, la penalizzerebbe in cromaticità. «È uno degli errori di questa amministrazione comunale – attacca il professore – e non si dica che la Soprintendenza ha posto veti ad altre scelte. In questo caso basta parlare ancora con il nuovo soprintendente e tornare a ragionare su altre opportunità».

Bisognerebbe osare in Mercatovecchio, senza però snaturare l’esistente. Il palazzo Talmone Brigo, più conosciuto come Palazzo Rosso o edificio commerciale, a firma dell’architetto e designer udinese Gino Valle, rappresenta uno dei migliori esempi di architettura contemporanea in un contesto di edilizia storica. È stato realizzato nei primi anni Sessanta, in carpenteria di ferro, volutamente dissonante rispetto al resto degli edifici (in legno), ma che allo stesso tempo si richiama alla tipologia delle abitazioni a graticcio caratteristiche del centro storico. «In Mercatovecchio – continua Grandinetti – c’era, come dice il nome, il vecchio mercato. E così deve tornare ad essere, con bancarelle e magari anche con gli animali. Deve essere un luogo di feste e di manifestazioni commerciali». Secondo l’architetto, lungo la via potrebbero essere installate strutture mobili (preferibili a quelle fisse) chiuse con tessuti resistenti per ospitare, via via, le diverse iniziative. In mente il professionista ha le realtà di Spalato o Dubrovink. «La piazza di Spalato – sottolinea –, antistante il mare, è piena di attività commerciali all’aperto».

Sul passaggio degli autobus in via Mercatovecchio (che il progetto presentato dal Comune garantisce ai lati della strada) il professionista udinese non si dice contrario. «Se transita un piccolo mezzo – chiarisce – non ci vedo niente di male, soprattutto pensando agli anziani e ai disabili. Ci si incarta su queste cose, senza guardare il risultato finale». Mentre è perplesso sulla decisione di abbellire la piazza con il trasferimento di quattro opere che hanno già una loro collocazione. Le sculture scelte dall’amministrazione sono: “Sole produttore” di Giò Pomodoro e un’opera di Carlo Ciussi che si trovano al Palamostre, “Totem” di Mirko Basaldella, posizionato accanto all’ex Upim e “Alpha Centauri” di Dino Basaldella, sistemata davanti a palazzo D’Aronco. «L’arredo urbano – conclude l’architetto – è un problema di viabilità e di intelligenza. La riqualificazione di uno spazio pubblico deve essere naturale e deve diventare uno spazio vivibile per tutti».

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