L'appello: «Riportate a Udine la Clinica neurologica»

Nuova richiesta degli specializzandi dopo il silenzio della Regione. La scuola ancora a Gemona, nonostante gli spazi siano disponibili

UDINE. Parlano di «giochi di potere» e di «noncuranza». E lo fanno affidando il proprio sfogo a una lettera, la terza, dopo quella inviata nei mesi scorsi a politici e responsabili sanitari per manifestare il proprio disagio «per la situazione in cui versa la scuola di specializzazione dell’università di Udine», e dopo quella trasmessa in aprile al nostro giornale per denunciare anche alla stampa le loro preoccupazioni.

Ora, di fronte al muro di silenzio che ha lasciato senza risposte, nè buone nè cattive, le loro proteste, agli specializzandi della Clinica neurologica friulana non resta che tornare alla carica.

«In assenza di decisioni sul suo futuro, la Clinica neurologica, sede principale della nostra formazione specialistica – scrivono –, è lasciata morire di asfissia nella sede dell’ospedale di Gemona. In questa struttura, in perdurante e prolungata agonia e privata ormai del nome stesso di ospedale, l’ultimo colpo all’attività di neurologia è stato apportato nel marzo scorso dalla conversione del Pronto soccorso in Presidio di primo soccorso e dalla chiusura dell’Area di emergenza».

Decisioni che, a loro dire, «hanno comportato inevitabilmente, al fine di garantire la tutela degli assistiti, una modificazione della tipologia dei ricoveri e una riduzione sia in termini numerici che in termini qualitativi delle attività lavorative della nostra Clinica. Altri provvedimenti – continuano – hanno contribuito a peggiorare ulteriormente la situazione vigente, tra cui lo spostamento delle cliniche di Dermatologia e Chirurgia plastica, la riduzione degli orari in cui sono disponibili alcune prestazioni di radiologia, il depotenziamento del servizio di cardiologia».

A pagare le conseguenze dei cambiamenti, sempre secondo gli specializzandi, sono stati un po’ tutti. «Vittime di queste decisioni sono inevitabilmente i pazienti – sostengono senza mezze misure nella lettera –, che vedono ridotta la qualità delle cure che vengono loro offerte, il personale medico e infermieristico, obbligato a lavorare in condizioni assolutamente non ottimali, e gli specializzandi, per i quali diventa difficile garantire un livello di formazione degno di una clinica universitaria, oltre che esperienze parimenti formative di ricerca scientifica».

La soluzione, va da sè, passerebbe proprio attraverso il ritorno a Udine. «Alla Clinica neurologica, unico caso tra i reparti universitari, viene nei fatti impedito il rientro a Udine, nonostante che nell’ospedale del “Santa Maria della Misericordia” siano disponibili spazi adeguati per accoglierla, e nonostante che soltanto a Udine esistano tecnologie complesse e specifiche strutture essenziali per l’attività didattica».

Peraltro, è sempre nell’ospedale del capoluogo friulano che sono presenti altre discipline indispensabili nel percorso formativo dello specializzando: da Neuroradiologia, a Neurochirurgia, Genetica, Farmacologia, Medicina Nucleare e altre ancora.

Senza contare, poi, il fatto che Udine costituisce la sede naturale, visto che per legge – fanno notare i futuri neurologi – la presenza delle cliniche universitarie è prevista all’interno dell’azienda di riferimento. E quindi, venendo al caso in questione, all’interno di quella di Udine. Non è in una struttura periferica come quella di Gemona, insomma, che una disciplina così importante per la formazione di un medico può essere appresa.

Del resto, se è vero che il “Santa Maria della Misericordia” è un’Azienda sanitaria universitaria integrata, non può che sorprendere il fatto che una - e soltanto una - delle sue cliniche si trovi “distaccata” a così tanti chilometri di distanza.

E, nondimeno, che gli studenti di Medicina debbano recarsi fin là per le esercitazioni. Vale la pena ricordare, inoltre, come sul fronte dell’assistenza, al Punto di intervento di Gemona (com’è stato rinominato dopo la riforma), pur in assenza di un’Area per l’emergenza, vi sia anche un certo numero di posti letto per malati sub acuti.

«Nei mesi scorsi abbiamo scritto una lettera privata alle autorità politiche, sanitarie e accademiche – ricordano gli specializzandi –, ma le nostre parole, così come una precedente lettera aperta scritta al vostro giornale, sono rimaste inascoltate. Troviamo inaccettabile che le autorità competenti interpretino il loro servizio così male, da non degnarci neanche di una risposta che ci sarebbe dovuta come cittadini, prima ancora che come medici in formazione specialistica».

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